La vittoria di Erdogan alle elezioni legislative e presidenziali in Turchia non cambia di molto il panorama geopolitico e le relazioni di Ankara con l’Occidente. La Turchia è un membro della NATO ma questo non ha impedito al presidente turco di condurre una dura battaglia contro le posizioni curde ad Afrin, al confine con tra Turchia e Siria. Le spaccature tra Washington e Ankara non riguardano solo la cooperazione americana con il partito curdo YPG, ma anche il caso di Fethullah Gulen, il predicatore accusato dal presidente islamista di aver orchestrato il tentativo di golpe del 2016, e l’acquisto da parte di Ankara delle batterie missilistiche russe, le antiaeree S-400.
Lo stato di emergenza che dura dal fallito colpo di Stato è stato criticato dalle organizzazioni che difendono i diritti umani e posto probabilmente la parola fine sull’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Se da una parte la permanenza della Turchia nella NATO aumenta le capacità di quest’ultima di fare pressione sulla Russia, dall’altra le divergenze sulla Siria e sull’Iran continueranno ad essere motivo di scontro tra la Turchia e l’Occidente.
Le performance di Ince e Aksener
Il dato più interessante che emerge dalle elezioni anticipate in Turchia del 24 giugno si riferisce al fronte interno. Il candidato Muharrem Ince del partito socialdemocratico CHP, il Partito Popolare Repubblicano, ha sfondato la soglia del 30%. Ince era il principale sfidante del presidente Erdogan e la sua performance elettorale è la migliore raggiunta da un socialdemocratico negli ultimi 40 anni di storia politica turca. La fotografia scattata all’indomani delle prime elezioni dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale voluta da Erdogan potrebbe mostrare le tendenze future della politica, alimentando le speranze di una sconfitta dell’autoritarismo. La strada però è abbastanza impervia.
Per la prima volta da quando nel 2003 divenne primo ministro, Erdogan ha dovuto affrontare la doppia sfida posta da un lato dall’emergere della socialdemocrazia e dall’altro da quella che arrivava della destra nazionalista. Meral Aksener, la leader del Good Party, formazione della destra nazionalista e liberale nata l’anno scorso, ha ottenuto un bottino al di sotto delle aspettative e ha mancato l’obiettivo di radunare l’opposizione a Erdogan stanca e frammentata. Il Good Party, che a inizio anno sembrava un serio pericolo per il presidente turco, aveva fatto della rinuncia a entrare nell’Unione Europea e della volontà di guardare alla regione dell’Asia-Pacifico uno dei suoi cavalli di battaglia. Mentre il sole splendente di Aksener non ha brillato abbastanza, le urne hanno risposto bene alla campagna messa in piedi da Ince. Ben due terzi dei turchi si considerano osservanti della religione, conservatori e nazionalisti, mentre solo un terzo di loro appoggia le idee della sinistra, si dice socialdemocratico o socialista. Tuttavia, come ha dimostrato il voto, potrebbe esserci un cambio di rotta.
Ince ha giocato la stessa carta di Erdogan che è solo l’ultimo nella lista dei leader conservatori turchi ad essersi posto a difesa dell’“uomo comune” contro gli abitanti benestanti delle città. Il candidato del partito repubblicano ha sovvertito le regole che la sinistra aveva seguito finora, dichiarandosi “uno del popolo” e un devoto sunnita che partecipa alle preghiere del venerdì. Ince ha inoltre cancellato dal suo vocabolario il termine “secolarismo”. In questo modo Erdogan non ha potuto accusarlo di essere un rappresentante della élite urbana che non sa ascoltare i bisogni dei turchi.
Il candidato repubblicano inoltre ha spianato la strada a un altro importante cambiamento per i socialdemocratici, ovvero l’apertura ai curdi. Il partito di centrosinistra ha a lungo osteggiato il nazionalismo curdo, Ince invece ha tenuto un comizio nella più grande città curda, Diyarbakir, e in quella occasione ha promesso di «rispettare il popolo curdo» e i suoi diritti. Ha fatto intendere di rifiutare la politica oppressiva seguita dal governo affermando di voler trovare una soluzione politica e si è anche detto favorevole all’autogoverno dei curdi e alla possibilità di garantire alla minoranza curda un’istruzione nella loro lingua madre. Per i curdi è un segnale importantissimo visto che era dall’epoca del fondatore della repubblica Ataturk che un esponente di spicco della politica non esprimeva la sua disponibilità ad andare incontro alle loro richieste.
In realtà, è da tempo che il partito repubblicano sta cercando di fare fronte comune con i curdi. Questa intenzione era stata chiarita da Ince già nel 2016 ed è stata confermata dalla decisione di dare avvio alla campagna presidenziale con la visita in prigione a Demirtas, il candidato presidente del partito filocurdo HDP. Il risultato raggiunto da Ince dimostra un certo successo nella linea seguita dall’ HDP e dal CHP che insieme hanno cercato di sovvertire il potere di Erdogan, sebbene non siano riusciti ad arrivare al secondo turno.
L’emergere di un candidato di cenrtosinistra che si fa promotore della democrazia e della necessità di superare le divisioni etniche e culturali fa ben sperare per le future elezioni, in cui i socialdemocratici potrebbero porre un argine alla destra nazionalista. Se il conflitto in atto con i curdi, alimentato dalla destra nazionalista, fagociterà gli altri problemi sociali, l’autoritarismo avrà vita facile in Turchia, anche dopo Erdogan. La crescente forza socialdemocratica dovrà tuttavia cercare di superare gli ostacoli posti da un sistema politico che riconosce poteri molto ampi al presidente e che limita di molto l’azione del governo e l’autonomia del potere giudiziario.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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