In uno scenario geopolitico particolarmente drammatico come quello attuale, che sta da diversi anni interessando il Vicino e Medio Oriente, la Turchia ha pensato di inserirsi per egemonizzare la leadership del mondo arabo-musulmano. Il contesto internazionale post-bipolare, avendo allentato tutta una serie di vincoli politici, ha favorito l’emergere di una nuova “Questione Orientale” rimettendo in moto un “Nuovo Grande Gioco” tra le potenze regionali e globali. Approfittando di questa situazione di crisi socio-politica, ma anche culturale e religiosa, acuita dalle cosiddette Primavere Arabe, la Turchia dell’AKP si è proposta come paese modello per i futuri state&nation building.
Il modello proposto dall’AKP era certamente diverso da quello che si può considerare il primo modello turco, quello ideato da Mustapha Kemal. Il modello turco kemalista prevedeva, nelle relazioni stato/religione, il controllo da parte dello stato sulle pratiche religiose. A tale scopo era stato creato il Direttorato degli Affari Religiosi (Diyanet Isleri Baskanligi) che presiedeva alla formazione degli imam, amministrava le moschee e le scuole religiose, e infine controllava i sermoni del venerdì.
In tal modo lo stato cercava di depotenziare la minaccia islamista, evitando la radicalizzazione e la politicizzazione della religione. Il modello turco di Kemal, quindi, non prevedeva una separazione tra potere politico e autorità religiosa, ma sviluppava una sorta di cesaropapismo che subordinava la seconda al primo. Questo modello, che tra crisi identitarie e colpi di stato, aveva garantito alla Turchia quasi un secolo di pace e un innalzamento degli standard di vita che non ha riscontri nei paesi arabo-musulmani, è oggi al tramonto.
L’islam politico turco, infatti, alla fine di quello che potremmo definire il “Long Game” è riuscito a conquistare il potere. Di fronte ai fallimenti politici di Necmettin Erbakan, fatti di scontri frontali con l’establishment laico del paese (Esercito, Corte Costituzionale), l’AKP di Erdogan e Davutoglu, con l’aiuto di Fethullah Gulen, ha conquistato il potere attraverso l’elaborazione di una strategia politica gradualista ed entrista.
Dal suo arrivo al governo del paese nel 2002, l’AKP ha utilizzato le richieste di conformazione dell’Unione Europea come sponda per modificare gli assetti costituzionali derivati dal colpo di stato del 1981, neutralizzando in parte il potere della Corte Costituzionale. Si è cercato, in modo graduale, di invertire i rapporti di forza col “Deep State” (Derin Devlet) kemalista, utilizzando come ariete la road map di ingresso all’UE, così a cuore alla componente laica del paese.
Il processo di indebolimento dell’esercito iniziato anch’esso nel 2002 ha toccato il suo apice coi processi Ergenekon e Sledge Hammer (Balyoz Harekati) che hanno decapitato una parte consistente dei pretoriani del kemalismo. Nel processo di de-kemalizzazione della Turchia non si può trascurare l’importante contributo che dagli anni Ottanta del secolo scorso hanno fornito le confraternite sufi (tarikats), riemerse dalla clandestinità in cui erano state costrette dalla loro messa al bando del 1925.
A emergere tra le altre, per il suo considerevole prestigio, è la Confraternita dei Naksibendi, abituata più delle altre alla pratica della dissimulazione in tempi difficili. Le filiazioni di quest’ordine sufi sono state numerose e hanno lavorato gradualmente ma incessantemente alla islamizzazione della società turca, servendosi di riviste, quotidiani, canali televisivi e con una editoria riservata al mondo femminile. Dopo essersi separata dai Nurcu, la comunità dei Fethullahci, fondata e diretta da Fethullah Gülen ha avuto il sopravvento sulle altre, creando in pochi anni un vero impero mediatico e scolastico nel mondo arabo-musulmano.
Con la forza del suo impero è riuscito a esercitare una notevole influenza sulla società turca, riuscendo a mobilitare il consenso delle masse per la causa islamista. L’AKP, che è stato supportato nella sua ascesa politica da Fethullah Gülen, ha a un certo punto cominciato a temere lo strapotere della Cemaat, che era riuscita a radicarsi notevolmente all’interno dell’esercito e della magistratura, formando una sorta di stato all’interno dello stato.
I rapporti tra il partito e la comunità cominciano a raffreddarsi nel 2013 quando i vertici dell’AKP si trovarono coinvolti in uno scandalo di corruzione che dal suo punto di vista trovava gli accusatori tra magistrati considerati appartenenti alla comunità di Gülen.
La rottura definitiva coincide col fallito tentativo di golpe del luglio del 2016, in quanto Erdogan ha creduto dal primo momento a una cospirazione gulenista appoggiata dagli americani. La caccia alle streghe cominciata dal giorno successivo al tentativo di colpo di stato, con tanto di chilometriche liste di proscrizione, sta effettuando la liquidazione definitiva di qualsiasi opposizione o dissenso nel paese. Con questa repressione ancora in atto finisce il sogno occidentale di un modello turco che possa essere esportato nel mondo arabo-musulmano e capace di liquidare il modello islamista radicale.
Da Il Sultano e il Califfo. Una sfida persa di Emiliano Fiore
Contributo estratto dai Quaderni del Master in Geopolitica e Sicurezza globale – Primo volume a cura di Matteo Marconi e Paolo Sellari (Aracne Editrice, 2018)
Redazione
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