Le dieci stelle più luminose del firmamento della sinistra americana un po’ insieme e un po’ contro. Tutte lì, a brillare su un solo palco, per un dibattito televisivo che non consegna vincitori né vinti, ma che offre spunti e speranze interessanti. La prima colossale notizia per i democratici è che non ha vinto Trump. Sono riusciti, cioè, almeno per una notte, a distogliere le attenzioni (ossessioni) dalla ingombrante figura del presidente per concentrarle su almeno due o tre tematiche chiave che occupano e che preoccupano testa e cuore di milioni e milioni di cittadini statunitensi. Sistema sanitario e riforma del diritto penale, con tanto di accento sul dossier “piaga” delle armi. In maniera quasi sorprendente invece, specie per un Paese in cui la sola vera ideologia dominante non è la politica bensì l’economia, è che proprio l’economia sia finita ai margini della discussione. A contare i minuti e gli interventi, la protagonista assoluta è la sanità.
Joe Biden, già vicepresidente di Barack Obama e favorito nei sondaggi sin dal giorno della sua discesa in campo, non ha dubbi: bisogna riprendere e proseguire nel solco già tracciato di “Obamacare”. Migliorarla, alleggerirla, concedere maggiori facoltà di scelta ai singoli utenti, così da non stravolgere del tutto il sistema di assicurazioni private che ad oggi domina la scena. Ma tra i dem c’è chi non ci sta e spinge forte sull’acceleratore dell’assistenzialismo. In particolare, Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, beniamini di un pubblico più a sinistra del centrista Biden, immaginano un impianto quasi europeo in grado di garantire coperture e trattamenti praticamente a chiunque non possa permetterseli. Un sogno straordinario il cui limite, però, è ben visibile in un altro tipo di coperture: quelle economiche. Un progetto i cui costi sono difficili anche soltanto da calcolare. In questo senso, dunque, Biden se la cava piuttosto bene, rassicurando una platea più vasta attorno a un’idea più concreta, almeno apparentemente più plausibile, più a portata di mano.
Tuttavia, dopo una performance pressoché perfetta esibita nel corso della prima mezz’ora, proprio l’ex vice di Obama è costretto a incassare l’unica scorrettezza della serata che porta la firma di Julián Castro. Nato e cresciuto in Texas, di origini messicane, studente di Stanford prima e di Harvard poi. Ma, soprattutto, classe 1974. Una stoccata su una dimenticanza, con Biden che contraddice se stesso nel giro di un paio di minuti. Uno scivolone su cui Castro lo azzanna in uno scontro che in un attimo diventa generazionale:«Cos’è, hai perso la memoria?». Un colpo basso che però, rivisto con gli occhi del giorno dopo, mette più in cattiva luce il giovane che il vecchio.
Sulla riforma del diritto penale e nello specifico sulla necessità di rivedere i controlli che disciplinano il possesso delle armi da fuoco, è invece Beto O’Rourke a mandare letteralmente in delirio la folla di Houston:«Hell yes! – Diamine sì! – Ci riprenderemo i vostri AR-15 e AK-47!», i fucili semiautomatici che non esita ad etichettare come «armi da guerra, progettate per uccidere le persone, per compiere delle stragi e non per difendersi!». Non le manda a dire, insomma.
Certo, quanto meno ha sbagliato Stato, considerato che in Texas la popolarità di certi strumenti raggiunge picchi folli, quasi incomprensibili se affrontati con un approccio di stampo europeo. Per concludere, la grande assente: quell’economia di cui si parla soltanto di striscio, con nessuno che trova il coraggio di smentire Trump su Cina e dazi. Il timore di una possibile recessione all’orizzonte spaventa un po’ tutti ed evidentemente ciascuno sta ancora studiando la propria ricetta.
Che facciano in fretta: sia nel formulare un piano vincente che nello scegliere il candidato chiamato a sfidare il tycoon, che, nel frattempo, la sua campagna elettorale l’ha già cominciata da un pezzo.
Presidential candidates are introduced for the Democratic presidential primary debate hosted by ABC on the campus of Texas Southern University Thursday, Sept. 12, 2019, in Houston. (AP Photo/Eric Gay)
Luca Marfe
Giornalista professionista, classe 1980, napoletano. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università “L’Orientale” di Napoli, master in Relazioni Internazionali alla SIOI. Collabora con Il Mattino di Napoli, Vanity Fair, esperto di Stati Uniti e America Latina.
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