Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America sancisce il diritto fondamentale dei cittadini al possesso di armi da fuoco allo scopo di garantire la sicurezza in uno Stato libero. Tale diritto è riconosciuto al pari di quello di espressione e di voto. Secondo uno studio del Pew Research Center, il 74% dei possessori di armi da fuoco ritiene questo loro diritto una componente essenziale della loro libertà personale: la restrizione al possesso di armi è vista come una lesione del diritto all’ autodifesa e una limitazione della libertà individuale.

Tale convinzione va però sempre scontrandosi con il senso morale nel momento in cui si riflette su quale sia il limite delle nostre azioni: siamo liberi nei termini in cui il nostro agire non danneggia gli altri o lede la libertà altrui. Esiste dunque una contrapposizione tra il diritto al possesso delle armi da fuoco e la potenzialità che queste hanno di ledere il supremo diritto alla vita di ogni essere umano; tale dissonanza è di fatto alla base dei dibattiti sulla regolamentazione del possesso delle armi che ogni volta si riaprono nell’opinione pubblica statunitense a seguito della notizia di nuove sparatorie di massa.

Proprio lo scorso 20 ottobre, a Las Vegas, ha avuto luogo quella che è diventata la più grande strage da arma da fuoco della storia moderna degli Stati Uniti: il 64enne Stephen Paddok ha sparato dal 32esimo piano di un hotel sulla folla riunita in occasione del festival di musica country Route41, uccidendo 59 persone e ferendone almeno 500. Il 12 giugno 2016, Omar Saddiqui Mateen, aveva aperto il fuoco uccidendo 49 persone e ferendone più di 50 presso il club gay Pulse, in Florida.

 

Perché accade?

 Tutto questo va inserito in un contesto che cercheremo di rendere più chiaro fornendo alcuni dati. I cittadini statunitensi possiedono almeno 265 milioni di armi da fuoco con una media di 88 armi ogni 100 abitanti, la più alta del mondo. Secondo lo studio sopracitato, 4 cittadini statunitensi su 10 dichiarano di possedere un’arma da fuoco o di vivere in un’abitazione dove ne è presente almeno una; si stima dunque che il 30% dei cittadini statunitensi siano possessori effettivi di un’arma e che circa i due terzi dei possessori ne abbia più di una (3 su 10 ne possederebbero addirittura 5 o più).

Tra le ragioni più spesso addotte per giustificare il possesso di armi vi è la sicurezza personale: il 67% dei possessori dichiara di sentirsi più protetto con un’arma e tale percentuale è significativamente più alta tra coloro che vivono in città e nelle periferie cittadine rispetto a chi vive in campagna. Il crescente senso di insicurezza sembra dunque essere uno dei principali moventi all’acquisto di armi.

Ma possono più mezzi di offesa farci sentire più sicuri? Il trend del tasso di criminalità negli USA dagli anni ’90 al 2016 (anno al quale risalgono i dati più aggiornati) risulta discendente: i dati forniti dall’FBI nel report annuale Uniform Crime Report, riguardanti i crimini effettivamente denunciati alle forze dell’ordine, mostrano che il tasso di “violent crime” (comprendente 4 reati: omicidio, omicidio colposo premeditato, stupro e rapina a mano armata) è sceso del 48% passando da 747.1 casi a 386.3 ogni 100.000 abitanti. È curioso però notare che la percezione del pubblico non è allineata ai dati: circa 6 statunitensi su 10 hanno dichiarato che in ogni anno (dal 1996 al2016) percepivano un aumento della criminalità rispetto all’ anno precedente, almeno al livello nazionale (una minoranza affermava però che la situazione della criminalità fosse peggiorata al livello locale).

 

Dove stanno andando gli USA?

Ogni anno negli USA muoiono circa 30.000 persone a causa di un’arma da fuoco (tra omicidi e suicidi); circa la metà degli statunitensi ritiene che la violenza derivante dal possesso di un mezzo di offesa sia un problema e quando si chiede loro quali siano i fattori fondamentali nel determinarla, l’86% risponde che è la facilità con cui è possibile procurarsi un’arma illegalmente, mentre ben il 60% ritiene che sia la facilità con cui è possibile procurarsela legalmente.

L’unico vero impedimento all’acquisto risulta essere l’età: è necessario avere 18 anni compiuti per acquistare un fucile o una carabina mentre ne occorrono 21 per acquistare una pistola, ma non è richiesto nessun genere di licenza o porto d’armi (solo in 14 stati su 50 è richiesta una forma di permesso).

Dovrebbero essere attuati, da parte dei rivenditori autorizzati, i background checks per impedire che chiunque sia stato incriminato per reati violenti o considerato mentalmente instabile ottenga un’arma; ma è stato denunciato che tali controlli spesso non sono efficaci a causa della lentezza dei processi e del mancato aggiornamento dei database dei vari stati. In più, i checks non devono essere effettuati dai cosiddetti private sellers durante le gun shows (fiere di rivenditori di armi), dove è possibile compare le armi in vendita senza che l’acquisto venga tracciato. Inoltre, è permesso comprare online le varie componenti delle armi per poi costruirsene una personalmente.

Risulta che i 10 più grandi produttori di armi statunitensi abbiano un fatturato di circa 8 miliardi di dollari all’anno e molti dei loro dirigenti siano membri del Golden Ring Of Freedom, l’esclusivo club della NRA (National Rifle Association) di cui fanno parte solo i soci che contribuiscono con più di 1 milione di dollari.

Quando si parla della regolamentazione del porto d’armi negli USA è inevitabile menzionare il ruolo della NRA, la potente associazione/lobby delle armi che agisce in favore dei detentori di armi da fuoco e difende strenuamente il secondo emendamento della Costituzione. La potente associazione si è fatta inoltre finanziatrice di diversi spot pubblicitari in favore del diritto all’autodifesa e al porto d’armi nonché di esponenti politici che nelle loro campagne elettorali difendevano tali diritti. Lo stesso Donald Trump ha preso finanziamenti dalla NRA per circa 30 milioni di dollari. Tuttavia, lo scorso 14 febbraio, a seguito della sparatoria nella scuola superiore Marjory Stoneman Douglas High School (Florida), dove un ragazzo diciannovenne ha ucciso con un AR-15 (fucile semiautomatico) ben 17 suoi coetanei, si è riaperto un acceso dibattito, tanto che il governatore della Florida ha firmato una legge che ha innalzato l’età per l’acquisto di un fucile a 21 anni, ha proposto di armare e addestrare alcuni appartenenti al personale scolastico e la presenza di una polizia scolastica.

Sono questi dei provvedimenti adeguati? Quello che sembra emergere è che se da un lato possedere una pistola dà agli statunitensi un senso di maggiore sicurezza, dall’altro il senso di sicurezza globale nella popolazione non sembra aumentato negli ultimi anni nonostante la riduzione del tasso di criminalità. La domanda che sorge spontaneo porsi è dunque se, veramente, avere o non avere un’arma sia una componente essenziale del senso di sicurezza e libertà individuale o se avere più armi o la facilità di procurarsele, rendano solamente più agevole l’esprimere il proprio disagio sociale sparando, senza risolvere la ragione prima della violenza (senso di insicurezza, angoscia, senso di impotenza, assenza della percezione del senso della morte).

È questa la domanda che sarebbe auspicabile porsi per trovare una reale soluzione al problema delle stragi e adottare gli adeguati provvedimenti, cercando di capire le profonde ragioni sociali di quanto sta accadendo negli Stati Uniti.

di Eleonora Fabbri – Il Caffè Geopolitico