Il Venezuela e la controversa eredità di Hugo Chávez

Non è possibile comprendere l’attuale crisi in Venezuela senza tenere conto degli ultimi vent’anni di vita politica ed economica del Paese sudamericano, dominati dalla “Rivoluzione Bolivariana” di Hugo Chávez contro il vecchio establishment nazionale. Amato e odiato in egual misura, Chávez ha cambiato il volto del suo Paese in maniera radicale, preparando il terreno per il dramma attualmente in corso nella strade di Caracas.

Tutto iniziò nei primi anni ’80, con un piccolo gruppo di ufficiali dell’Esercito venezuelano, guidato dallo stesso Chávez, dedito a disegni golpisti e alla creazione di una repubblica di tipo socialista. Inizialmente poco interessato alla politica, Chávez fu spinto da diverse figure politiche e intellettuali ad approfondire lo studio della tradizione rivoluzionaria latinoamericana, che lo portò gradualmente a contestare il tradizionale ordine politico “borghese” del Paese. Nel febbraio 1992 il giovane ufficiale e i suoi colleghi cercarono di rovesciare il governo con la forza, ma il tentativo fallì per un soffio e i cospiratori finirono in carcere per alcuni anni. Graziato dal Presidente Rafael Caldera, Chávez decise poi di fondare un proprio partito politico, il Movimiento de la Quinta Republica, per partecipare alle elezioni presidenziali del 1998. Sfruttando il malcontento popolare per le crescenti difficoltà economiche, l’ex ufficiale vinse facilmente la contesa elettorale con il 56% dei voti, ottenendo anche il sostegno di parte della media borghesia delusa dalla corruzione dei partiti tradizionali.

Divenuto Presidente, Chávez rafforzò gradualmente i poteri dell’esecutivo e mise in atto un ambizioso programma di ridistribuzione della ricchezza nazionale basato sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi venezuelani, gestiti direttamente dalla compagnia statale PDVSA. Nel 2000 nuove elezioni riconfermarono Chávez alla guida del Paese per sei anni, rafforzando ulteriormente la sua posizione a scapito di Corte Suprema e Assemblea Nazionale. Forte di queste prerogative, Chávez portò avanti un’aggressiva ondata di nazionalizzazioni economiche e strinse una formale alleanza con Cuba, ottenendo dall’Avana l’invio di medici e insegnanti a sostegno delle campagne anti-povertà del governo. I risultati iniziali di tali campagne furono sostanzialmente positivi e portarono a una significativa riduzione del tasso di povertà estrema del Paese, sceso intorno al 7% nel 2011 (dati Banca Mondiale). Nonostante ciò, il radicalismo ideologico del chavismo, le crescenti limitazioni alle libertà democratiche e l’eccessiva vicinanza al regime cubano finirono per alienare quella parte di ceto medio che aveva sostenuto Chávez all’inizio della sua avventura politica, preparando il terreno per una violenta contestazione della “Rivoluzione Bolivariana”.

Il tentato golpe del 2002 e le sue conseguenze

Questa contestazione esplose per la prima volta nell’aprile del 2002, con una serie di proteste popolari a Caracas duramente represse dal governo. Approfittando dell’occasione, un gruppo di militari – forse sostenuti esternamente dagli USA – cercò di rovesciare il Presidente, ma il tentativo fallì per la rapida mobilitazione del movimento chavista contro i golpisti. Reinsediato alla guida del Paese, Chávez iniziò a coltivare stretti rapporti militari con la Russia per contrastare eventuali interventi statunitensi a sostegno dell’opposizione. Nel 2004 un nuovo tentativo di destituirlo per via referendaria spinse il Presidente a radicalizzare ulteriormente le proprie posizioni e ad accrescere il controllo dello Stato sulla vita politica ed economica venezuelana, giustificandolo con l’obiettivo di difendere la “rivoluzione” dai suoi nemici interni ed esterni. Eletto Presidente per la terza volta nel 2006, Chávez proseguì quindi con la nazionalizzazione di vari settori economici del Paese, incluso quello delle telecomunicazioni, e rafforzò ulteriomente i poteri dell’esecutivo a scapito di quelli dell’Assemblea Nazionale, riuscendo persino a far approvare per via referendaria la sua rielezione perpetua nel febbraio 2009. Oltre a ciò, il governo chavista adottò misure piuttosto dure nei confronti dei suoi oppositori, censurando i media indipendenti e arrestando numerosi giornalisti. A livello internazionale, Caracas cercò anche di costruire un vasto schieramento contro gli USA, intrattenendo rapporti cordiali con l’Iran e altre nazioni ostili a Washington.

La crisi del sogno bolivariano

Dal 2011 Chávez dovette far fronte ai primi segni di deterioramento dell’economia venezuelana, provocati soprattutto dall’instabilità dei prezzi petroliferi. Al Presidente venne anche diagnosticato un tumore, che lo costrinse a lunghe assenze per curarsi a Cuba. Nonostante ciò, Chávez partecipò egualmente alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2012, vincendole con un buon margine sul leader dell’opposizione Henrique Capriles. Ma le gravi condizioni di salute gli impedirono di iniziare realmente il suo nuovo mandato presidenziale. Tra sospetti e smentite, Chávez morì infatti il 5 marzo 2013, venendo sostituito dal Ministro degli Esteri Nicolas Maduro come nuovo Presidente del Venezuela. Al funerale parteciparono diversi leader politici stranieri, tra cui il Presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko e quello iraniano Mahmoud Ahmadinejad.

Ispirato sia da Karl Marx che dal libertador Simon Bolivar, Chávez è stato il campione di un socialismo populista e nazionalista dichiaratamente alternativo alla globalizzazione liberale dei decenni scorsi. Tale esperimento sembra però ormai agli sgoccioli, vittima delle sue stesse contraddizioni e delle minori capacità politiche di Maduro. Inoltre, il radicalismo ideologico di Chávez, unito al suo autoritarismo personale, hanno finito per polarizzare politicamente il Venezuela e per compromettere il funzionamento delle sue istituzioni parlamentari e giudiziarie. Ora il Paese rischia di crollare, trascinando via con sé la “Rivoluzione Bolivariana” e i suoi sogni egualitari.

Pubblicato su Babilon n. 4