Nicolas_Maduro

Il Venezuela si aggrappa ancora una volta alla Russia per evitare di essere risucchiato da una crisi economica che appare ormai senza via d’uscita. Il 15 novembre i governi di Caracas e Mosca hanno trovato un’intesa per ristrutturare il mastodontico debito che il Cremlino vanta nei confronti del governo venezuelano del presidente Nicolas Maduro. La cifra ammonta a 3,1 miliardi di dollari. In base all’accordo, Caracas potrà spalmarne il pagamento della somma in dieci anni, con la possibilità di usufruire di rate minime nei primi sei anni.

Secondo il ministero delle Finanze russo il piano di ristrutturazione consentirà al Venezuela di continuare ad avere così quelle risorse necessarie da poter reinvestire nello sviluppo della propria economia. Ciò permetterà al Paese sudamericano di migliorare la sua solvibilità, vale a dire la sua capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti con i creditori esteri, evitando così di far fuggire tutti gli investitori. Tra il dire e il fare ci sono però di mezzo circa 150 miliardi di dollari. A tanto ammonta il debito complessivo venezuelano nei confronti dei creditori esteri, in cui rientrano 45 miliardi di debito pubblico e altri 45 accumulati dalla compagnia petrolifera di Stato PDVSA (Petroleos de Venezuela SA), secondo le stime dell’International Institute of Finance citate dall’agenzia Reuters.

In base all’accordo con Mosca, Caracas potrà spalmare il pagamento del debito pari a 3,1 miliardi di dollari in dieci anni con la possibilità di usufruire di rate minime nei primi sei anni

Quest’ultimo accordo con la Russia è un remake di un patto simile che era stato raggiunto tra i due Paesi nel 2014 quando il governo venezuelano, a un anno dalla morte di Hugo Chavez, si ritrovò costretto a chiedere a Mosca una proroga di un prestito concesso nel 2011. Proroga che nel giugno del 2015 è stata ulteriormente dilatata alla fine del 2016.

Le cose per Caracas si sono complicate lo scorso 14 novembre, giorno in cui S&P Global Ratings ha decretato per il Paese lo stato di default selettivo per non aver pagato 200 milioni di dollari di bond (obbligazioni) su titoli di Stato al 2019 e al 2024. La decisione, assunta da S&P trenta giorni dopo aver lanciato l’ultimo avvertimento, ha di fatto concretizzato per il Paese lo spettro del fallimento. Il default selettivo, infatti, è il livello che precede il cosiddetto “livello spazzatura” (CC), ossia bancarotta.

Una bocciatura in tronco, dunque, sulla quale hanno pesato almeno tre fattori: le acque agitate in cui versa, come detto, PDVSA (Petroleos de Venezuela SA), per cui le agenzie di rating Fitch e Moody’s hanno decretato il default restrittivo; le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei confronti di diversi membri di primissimo piano del governo venezuelano, tra cui il vicepresidente Tareck El Aissami; le annose tensioni sociali con proteste, scontri di piazza e arresti di oppositori e attivisti per i diritti umani che sono all’ordine del giorno ormai da mesi. Una situazione caotica, sintetizzata dal nulla di fatto dell’incontro del 14 novembre a Caracas, quando un gruppo di creditori privati è stato costretto ad abbandonare dopo mezz’ora il tavolo delle trattative con gli esponenti dell’esecutivo dopo non aver ricevuto alcuna risposta sul rimborso di 60 miliardi di dollari.

A pesare sulla situazione economica del Paese sono le sanzioni imposte dagli USA, il crollo del prezzo del petrolio e le tensioni sociali: scontri e arresti di oppositori sono all’ordine del giorno

Oltre che sull’asse Mosca-Caracas, i riflettori sono puntati anche su Pechino. La Cina è infatti il secondo partner commerciale del Venezuela dopo gli Stati Uniti. Fino a quando il prezzo del petrolio al barile è rimasto nella media, il governo cinese ha approfittato degli sconti garantiti da Caracas lasciando in cambio aperti i rubinetti dei prestiti. Oggi però le immense riserve petrolifere venezuelane valgono molto di meno rispetto al recente passato. Pechino per ora prende tempo, ma sa che continuando a spalleggiare Maduro sta giocando col fuoco. Seppur considerato un interlocutore strategico sul piano geopolitico, il Venezuela naviga sull’orlo del default. Resta da capire per quanto tempo ancora alla Cina converrà tenere aperte le linee di credito.