Il Venezuela che entra nel 2018 è solo il fantasma del Paese che era solo pochi anni fa, quando i venezuelani godevano di uno dei PIL pro capite più alti del continente e Caracas cercava di creare un grande polo continentale in contrapposizione agli Stati Uniti. Il crollo del prezzo del petrolio, unito a enormi disequilibri in campo macroeconomico, hanno causato una devastante crisi economica facendo crollare il PIL del 35% (40% in termini di PIL pro capite), mentre un’inflazione a quattro cifre ha eroso quasi completamente i risparmi dei cittadini, facendo scarseggiare i beni di prima necessità e costringendo circa l’80% dei venezuelani a vivere sotto la soglia di povertà.

Se questi numeri possono essere contestati, due dati su tutti danno la misura del disastro: il tasso di mortalità alla nascita è aumentato del 30%, mentre quello della mortalità materna è cresciuto del 65,79%. Da aprile ad agosto, inoltre, il Venezuela è stato scosso da una serie di manifestazioni di protesta indette dall’opposizione, che in alcuni casi hanno assunto anche aspetti violenti. Il governo ha deciso di reagire usando il pugno duro, causando circa 164 morti più migliaia di feriti e prigionieri politici. La repressione ha prodotto l’isolamento internazionale del Venezuela, attirando le sanzioni economiche dell’Europa e degli Stati Uniti, che hanno addirittura paventato la possibilità di un intervento militare.

Anche in Sudamerica Caracas si è ritrovata quasi del tutto isolata, mentre un gruppo di Paesi formato da Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay e Perù, dichiaratamente ostili alla leadership di Maduro, si sono uniti nel Gruppo di Lima per meglio coordinare la loro risposta contro il governo del Paese. In questo scenario di crisi, molti osservatori sia nazionali che internazionali erano pronti a scommettere che la MUD (Mesa de la Unidad Democrática) avrebbe battuto il presidente Maduro in occasione delle prossime elezioni presidenziali, previste per dicembre di quest’anno, rimuovendolo finalmente dal suo incarico. A sorpresa, tuttavia, il governo venezuelano ha deciso di sparigliare le carte in tavola con l’annuncio, dato dalla filogovernativa Assemblea Costituente, che le elezioni presidenziali si sarebbero invece celebrate entro la fine di aprile 2018.

 

Governo unito nel mantenimento del potere

In molti altri Paesi il governo sarebbe stato travolto da una tale crisi e, volente o nolente, avrebbe già presentato le proprie dimissioni. Invece in Venezuela non solo il presidente Nicolas Maduro e il suo partito PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) sono riusciti a conservare il potere, ma non danno neppure nessun segno di volerlo lasciare. A salvare il governo sono stati il controllo pubblico delle principali attività produttive del Paese (una su tutte la PDVSA – Petróleos de Venezuela, la compagnia estrattiva di bandiera) e la fedeltà dell’esercito, troppo coinvolto nella gestione del potere politico ed economico per voler rischiare un cambio di regime.

Il governo è riuscito inoltre a far fronte alla coalizione d’opposizione MUD e alla sua vittoria elettorale nelle elezioni legislative del 2015 creando l’Assemblea Costituente, un organo istituzionale parallelo e fedele a Maduro che ha svuotato di potere l’Assemblea Nazionale. Successivamente, il governo ha adottato una tattica temporeggiatrice nei confronti della MUD, coinvolgendola in una serie di negoziati ancora in corso nella sede di Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana. Questa strategia ha mostrato i suoi risultati in occasione delle elezioni regionali di ottobre 2017, che hanno visto il partito al governo ottenere il 52,7% dei voti e vincere in 18 Stati su 23 (pur perdendo il popoloso Stato di Zulia con l’importante città di Maracaibo).

I vari scandali di corruzione, che vedono importanti figure del governo invischiate nel narcotraffico o nello scandalo Odebrecht, non hanno scalfito la figura del presidente, che, come da copione, è stato acclamato “a furor di popolo” candidato presidenziale unico del PSUV.

 

L’opposizione: divergenze e dissidi

Dal lato opposto la MUD sta invece attraversando un momento di profonda debolezza. La coalizione è infatti composta da 15 partiti nazionali (più svariati partiti regionali) tra cui i più importanti sono Prima la Giustizia, Azione Democratica, Una Nuova Era e Volontà Popolare, uniti dal progetto di sconfiggere il presidente Maduro e il suo partito ma per il resto profondamente divisi per ideologia e strategie. Inoltre, la MUD è priva di un leader carismatico in grado di imporsi sulle varie correnti in quanto molti dei suoi rappresentanti di spicco o sono stati esiliati (come Henrique Capriles, sfidante di Hugo Chávez nel 2012) oppure in carcere (come Leopoldo López).

Le tensioni interne sono venute a galla in seguito alle elezioni regionali del 2017 quando la coalizione non è riuscita a dare una risposta unita alla débâcle, dividendosi tra chi accusava il governo di brogli e chi invece ammetteva la sconfitta, riconducendola soprattutto alla divisione interna o all’invito all’astensione. Inoltre, quattro dei cinque governatori dell’opposizione hanno prestato giuramento di fronte all’Assemblea Costituente, infrangendo l’accordo di non riconoscere l’assemblea perché espressione del potere del presidente Maduro. Il voto anticipato inoltre ha colto la MUD senza un candidato alla carica presidenziale, bloccando sul nascere la possibilità di celebrare delle primarie interne.

Anche divisa, però, l’opposizione costituisce ancora un formidabile ostacolo alle mire di Maduro, e così il presidente ha preferito giocare sul sicuro facendo bandire i principali partiti a lui ostili: una sentenza della Corte Suprema, infatti, ha vietato a tutti i partiti di opposizione che hanno boicottato le elezioni regionali di correre alle prossime elezioni, costringendoli a fare nuovamente domanda per lo status legale al Consiglio Nazionale Elettorale. Al momento, l’unico importante partito di opposizione che ha ottenuto il permesso di partecipare è Azione Democratica, guidata da Henry Ramos Allup, ex presidente dell’Assemblea Nazionale. Non è ancora chiaro come gli altri partiti della MUD reagiranno a questa candidatura obbligata, se riusciranno a superare le loro differenze e schierarsi uniti dietro Ramos Allup oppure se spaccheranno nuovamente il fronte dell’opposizione.

In conclusione, grazie alle divisioni degli avversari e a una cinica strategia che mescola violenza, finti negoziati e cavilli legali, Maduro sembra inaspettatamente in grado di poter prolungare il proprio mandato presidenziale. Tuttavia, molto meno chiaro è se la stessa ricetta servirà ad alleviare le pene del popolo venezuelano.

di Umberto Guzzardi – Il Caffè Geopolitico