Cronaca di un Paese distrutto: il salario mensile sceso a 2 dollari.
Due dollari americani per un mese di lavoro. Un’equazione già di per sé sufficiente a tracciare il profilo di un Venezuela oramai distrutto. Un salario che non basta nemmeno per comprare un uovo al giorno. Figurarsi per vivere, per protestare. E infatti non protesta più nessuno. Su Caracas e dintorni è calato di nuovo il silenzio. Dei media, ma soprattutto delle masse. Di quel popolo tanto decantato da Hugo Chávez e tanto umiliato da Nicolás Maduro che di invadere le strade e le piazze non ha più voglia, non ha più forza e, peggio ancora, ha paura.
A fronte di un’economia in frantumi, infatti, l’unica maniera per garantirsi le briciole del sostentamento sono i sussidi statali. Anche quelli ridotti agli avanzi dei minimi termini, ma pur sempre in grado di materializzarsi in qualche pacco di riso o in qualche sacco di farina che in questo preciso momento storico, all’ombra del monte Ávila, equivalgono alla sopravvivenza propria e dei propri figli. Questo senza contare la possibilità di ritorsioni cui il regime tradizionalmente è tutt’altro che estraneo. Insomma, il rapporto con il dollaro si piega di 120 punti percentuali in un mese, l’inflazione non è più neanche calcolabile, la vita dei venezuelani è da tempo impossibile e della luce in fondo al tunnel socialista, no, non ce n’è alcuna traccia. Traccia che rimarrà, invece, impressa nella storia di una sorta di capolavoro alla rovescia: quello di uno Stato fallito e del destino dei suoi (ex) abitanti di cui nessuno parla nemmeno più. «L’unico frigorifero pieno in Venezuela è l’obitorio»
Luca Marfe
Giornalista professionista, classe 1980, napoletano. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università “L’Orientale” di Napoli, master in Relazioni Internazionali alla SIOI. Collabora con Il Mattino di Napoli, Vanity Fair, esperto di Stati Uniti e America Latina.
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