La campagna elettorale di Nicolas Maduro in vista delle elezioni presidenziali di oggi si è conclusa giovedì scorso a Caracas con un bagno di folla sull’Avenida Bolivar. Il presidente, insieme a Diego Armando Maradona, ha incitato ancora un volta il suo popolo a ratificare la sua leadership in nome della rivoluzione bolivariana del padre della patria, Hugo Chavez.

Tuttavia questa tornata elettorale arriva in un momento di estrema difficoltà per il Venezuela, non bastasse la crisi profonda che sta lacerando il paese, infuriano anche le pressioni internazionali sulla legittimità del voto stesso. Infatti una parte della comunità internazionale, Stati Uniti e Gruppo di Lima in testa, hanno già fatto sapere che non riconosceranno l’esito delle elezioni perchè, a loro dire, il processo elettorale non offrirebbe sufficienti garanzie democratiche tali da consentire un vero ricambio alla guida del paese. Di segno opposto invece le esternazioni di Russia, Bolivia, Ecuador e Cuba, unite nel sostegno al paese sudamericano.

Quello che è certo è il fatto che oltre al presidente in carica sostenuto dal Frente Amplio e da altri 9 partiti, si presenteranno altri 4 candidati: Reinaldo Quijada, un ingegnere nato in Svizzera, Luis Alejandro Ratti, candidato indipendente, il pastore evangelico Javier Bertucci e soprattutto Henri Falcòn, militare e avvocato, ex chavista appoggiato da Avanzada Progresista che realisticamente è l’unico candidato che potrebbe impensierire Maduro, anche se sono in pochi a scommettere sulla sua vittoria.

Mentre Mesa de la Unidad Democrática che è la coalizione dei movimenti che si oppongono con più forza al governo di Nicolas Maduro, dopo aver fincheggiato i tentativi di golpe sfociati nei violentissimi scontri dei mesi scorsi, ha deciso di boicottare le elezioni dal momento che i suoi leader sono impossibilitati a partecipare alle elezioni: Henrique Capriles Radonski è stato interdetto dall’attività politica per 15 anni per il ruolo nei disordini di Miranda dell’aprile scorso, mentre Leopoldo López, paladino dell’ultraliberismo venezuelano, è agli arresti domiciliari da tempo per una serie innumerevole di reati contro l’ordine pubblico.

In questo clima tutt’altro che disteso il presidente ostenta ottimismo ma è ben consapevole che la maggiore preoccupazione per la stabilità del suo governo potrebbe non venire da uno degli altri contendenti, ma dalla scarsa partecipazione al voto. Qualora infatti il “partito degli astenuti” risultasse maggioritario, prenderebbero ancora più vigore quelle opposizioni che hanno dichiarato guerra alla rivoluzione bolivariana al di fuori delle regole del processo democratico.

Alla finestra infatti ci sono gli Stati Uniti e soprattutto il rivale di sempre, la Colombia di Manuel Santos che da anni auspicano un cambio di regime, anche fomentando il dissenso interno.

In ogni caso, chiunque uscirà vincitore dalla contesa di oggi si troverà a dover affrontare una notevole mole di problemi: a partire da una crisi economica catastrofica, iniziata con il crollo del prezzo del petrolio, risorsa base dell’economia venezuelana, che adesso sembra non poter garantire più l’imponente stato sociale che Chavez, nazionalizzando tutta l’industria petrolifera, aveva creato per la protezione e l’emancipazione delle masse popolari. L’apertura ai privati secondo gli oppositori di Maduro farebbe affluire denaro fresco nelle casse dello Stato, il che consentirebbe di far fronte ad un’inflazione stellare che oscilla tra il 700 e il 1100% su base annua che, nel corso degli ultimi mesi, con la complicità di pratiche predatorie della vicina Colombia e dell’isolamento internazionale, ha eroso drasticamente il potere d’acquisto dei cittadini venezuelani, i quali, sebbene abbiano accesso praticamente gratuito a un grande numero di servizi (istruzione di ogni grado, carburanti, trasporti, sport), non sono più in grado di procurarsi altro che non sia direttamente fornito dallo Stato.

Per ora si cominciano a vedere le crepe di un sistema che si sta avvolgendo su se stesso, i risultati che usciranno dalle urne ci diranno se i venezuelani credono ancora nella dottrina chavista che, nonostante tutto ha il merito di aver tirato fuori dall’estrema povertà ampie fasce della popolazione, ma che adesso mostra tutti i suoi limiti, oppure intendono voltare pagina nel solco del liberismo filo-americano.