Il Vietnam e la sfida del Coronavirus

Per quasi tre decenni Quach My Linh ha venduto cappelli al mercato Ba Chieu a Ho Chi Minh City, in Vietnam. Ma dopo il lockdown dovuto al nuovo coronavirus, il venditore 42enne ha iniziato a dedicarsi alla realizzazione di schermi facciali in plastica per gli operatori sanitari schierati in prima linea contro il virus. «Anch’io sono stato un paziente e sento che la mia famiglia deve molto ai medici. Voglio creare questi scudi per mantenerli in salute. Solo se sono sani, possono proteggerci», ha detto Linh a Reuters. Quach My Linh qualche anno fa era stato colpito da una malattia del sangue che ha richiesto trattamenti ospedalieri periodici.

Ad inizio aprile il Vietnam ha iniziato una campagna di allontanamento sociale per rallentare la diffusione del virus, una misura che ha portato alla chiusura della maggior parte delle attività non essenziali, inclusa la bottega di Linh. Quando è iniziato il blocco, Linh ha riunito un gruppo di membri della famiglia, amici e colleghi venditori per realizzare gli scudi facciali. Possono essere indossati in aggiunta alle maschere per proteggere meglio gli operatori sanitari dai droplets, le minuscole goccioline portatrici di virus rilasciate da pazienti infetti. Il tocco finale? Un adesivo, con un messaggio importante per gli operatori sanitari del Vietnam: “Combatti la malattia di Covid-19”.

Il Vietnam aveva accelerato la spedizione negli Stati Uniti di 450.000 tute protettive prodotte in loco dall’azienda chimica statunitense DuPont per aiutare gli operatori sanitari a combattere il Coronavirus, come ha dichiarato l’ambasciata americana ad Hanoi. «La prima delle due spedizioni iniziali di oltre 450.000 tute protettive DuPont prodotte in Vietnam è arrivata nell’archivio strategico nazionale degli Stati Uniti l’8 aprile. Questa spedizione aiuterà a proteggere gli operatori sanitari che lavorano in prima linea contro la Covid-19 negli Stati Uniti e dimostra la forza della partnership USA-Vietnam», ha dichiarato l’Ambasciata vietnamita. Il Paese ha anche donato mascherine e altro materiale sanitario ai Paesi vicini, come il Laos e la Cambogia.

Il 15 maggio le autorità sanitarie del Vietnam hanno confermato 24 nuovi casi di infezione da Covid-19. I casi riguarderebbero persone in arrivo dall’estero, come scrive Agenzia Nova. In particolare, gli infetti sarebbero cittadini vietnamiti rimpatriati dalla Russia. Le autorità hanno disposto per loro la quarantena al loro rientro nel Paese. Il Vietnam, ad ogni modo, non ha segnalato casi di contagio da Coronavirus trasmessi localmente da quasi 29 giorni. A metà maggio i casi confermati nel Paese sarebbero solo 312, senza alcun decesso, ha ricordato il Ministero della Salute vietnamita. Numeri molto bassi, nonostante più di mille chilometri di confine con la Cina. Il numero dei contagi in Vietnam è quindi ben al di sotto di quelli di Corea del Sud, Singapore e Taiwan, citati come esempi positivi a livello internazionale.

Secondo le statistiche ufficiali, sarebbero state più di 75mila le persone messe in quarantena o in isolamento. Il mese scorso Hanoi aveva dichiarato di aver eseguito più di 121mila test.

Il virus è stato uno stress test per l’economia vietnamita ma potrebbe trasformarsi in un’opportunità. L’economia vietnamita, una delle più vivaci in Asia, dovrebbe contrarsi in percentuale minore rispetto agli altri Paesi dell’area, stando ad alcune stime. Il Vietnam, inoltre, è stato uno dei pochi a trarre profitto dalla guerra commerciale tra USA e Cina, perché molte multinazionali hanno scelto di spostare le attività dalla Repubblica Popolare in Vietnam per evitare le tariffe di Washington. Allo stesso modo, il virus potrebbe facilitare una seconda ondata di trasferimenti sull’onda del crescente scetticismo verso la Cina a causa della pandemia.

A metà aprile il governo del Vietnam ha emesso un decreto che prevede pesanti multe per chi diffonde informazioni false attraverso internet. Il decreto ne aggiorna uno emanato nel 2013, introduce nuove regole aumentando le sanzioni già previste. Chi viene ritenuto colpevole è tenuto a pagare tra i 10 e i 20 milioni di dong, pari a quasi 400-500 euro e corrispondenti ad alcuni mesi del salario minimo vietnamita. Tutto questo aveva alimentato i timori di nuove violazioni dei diritti umani perché la scusa della Covid-19 può essere sfruttata dal governo per imprigionare attivisti con l’accusa di aver diffuso fake news.

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Il timore di molti osservatori politici è che il partito comunista al potere dal 1975, anno della riunificazione del Paese, possa approfittare dell’emergenza sanitaria per aumentare il suo controllo su quel che viene pubblicato in rete e per giustificare arresti di dissidenti e attivisti. Da più di un anno, infatti, è in vigore una legge “per la sicurezza informatica” che rende illegale criticare su internet il governo. Un altro timore è che il decreto possa permettere al governo di censurare anche notizie non false sul Coronavirus. A questo proposito, molti esperti hanno espresso preoccupazione sul fatto che il Vietnam abbia gestito in modo poco trasparente la situazione legata al Coronavirus. Diversi analisti avevano ritenuto improbabile che un Paese come il Vietnam, relativamente povero e con oltre 95 milioni di abitanti, possa aver avuto solo qualche centinaio di contagi. Era infatti emerso il dubbio che Hanoi non stesse riuscendo a individuare i contagi o che, pur facendolo, abbia evitato di renderli noti.

Ma c’è anche la possibilità che il Vietnam sia un’altra storia di successo in Asia e che sia davvero riuscito a contenere il contagio meglio di altri: da quando è stato individuato il primo caso, il 23 gennaio scorso, il Paese ha preso piuttosto rapidamente misure drastiche per il contenimento del contagio, imponendo molto presto la chiusura della maggior parte delle scuole e vietando i voli per la Cina. Quando cioè il problema sembrava fosse unicamente della Repubblica Popolare. Il 13 febbraio il Vietnam è stato anche il primo Paese, dopo la Cina, a isolare quasi del tutto una grande area residenziale: nella provincia di Vinh Phuc, a nord della capitale Hanoi e vicino al confine cinese. Per iniziative di questo tipo già a marzo il Financial Times aveva apprezzato il «modello low-cost» del Paese, focalizzato sulla quarantena e il tracciamento dei contatti. Le restrizioni e le decisioni del Vietnam sono state apprezzate anche da Kidong Park, che rappresenta l’OMS nel Paese e che ha parlato di «una risposta rapida ed energica».

Pubblicato su Il Mattino