Yemen_Arabia_Saudita

Tra le guerre per procura che Arabia Saudita e Iran stanno conducendo per la leadership in Medio Oriente, quella in Yemen è apparentemente quella meno importante quantomeno sul piano mediatico, specie ora che all’orizzonte si prospetta una nuova crisi in Libano. Eppure ci sono almeno due ragioni che dimostrano il contrario.

La prima è prettamente economica. Nel conflitto yemenita l’obiettivo di Riad non è solo geopolitico, dunque mirato ad arginare l’area di influenza di Teheran, che appoggiando i ribelli sciiti Houthi ha praticamente messo le mani su circa un terzo del Paese, compresa la capitale Sanaa e le coste occidentali affacciate sul Mar Rosso. L’altra posta in palio è infatti Bab el-Mandeb, lo stretto strategico da cui ogni giorno transitano portacontainer e petroliere che dall’Asia risalgono il Canale di Suez per entrare nel Mediterraneo. Negli ultimi mesi la coalizione militare guidata da Riad ha gradualmente risalito vero nord la costa bagnata dal Mar Rosso assumendo il controllo dello stretto. Ma gli Houthi restano una minaccia sempre viva e per annichilirne la resistenza all’Arabia Saudita servirà un repentino cambio di passo rispetto alla fallimentare campagna militare condotta finora.

La seconda ragione che testimonia l’importanza del conflitto in Yemen è invece diplomatica e d’immagine e rimanda direttamente alla stagione di cambiamento avviata da Mohammed bin Salman. Se vuol far apparire credibili le sue promesse di maggiori aperture su tematiche importanti per la comunità internazionale (lotta al terrorismo jihadista, stretta sui corrotti, miglioarmento della condizione delle donne nel Regno saudita), l’erede al trono di Riad sa di non poter continuare a sporcarsi con disinvoltura le mani di sangue yemenita per come ha fatto negli ultimi due anni e mezzo.

Se vuol far apparire credibili le sue promesse di maggiori aperture verso la comunità internazionale, Mohammed bin Salman non potrà continuare a sporcarsi con disinvoltura le mani di sangue yemenita

È anche per questo motivo che la coalizione saudita il 13 novembre ha dichiarato che riaprirà le frontiere aeree, terrestri e marittime del Paese dopo averne ordinato la chiusura in risposta all’attacco missilistico sferrato dagli Houthi a inizio mese contro l’aeroporto internazionale King Khaled vicino Riad.

La decisione di chiudere le vie di comunicazione da e per lo Yemen era stata presa il 6 novembre, due giorni dopo l’offensiva ribelle di cui Mohammed bin Salman in persona non aveva esitato ad accusare l’Iran parlando di «aggressione militare diretta» da parte di Teheran. Pronta la smentita del presidente iraniano Hassan Rouhani, il quale ha negato che l’Iran ha fornito i missili lanciati dagli Houthi.

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Da regionale la questione è diventata internazionale pochi giorni più tardi, quando le Nazioni Unite hanno dichiarato di non aver ottenuto i permessi per far arrivare aerei e navi carichi di aiuti umanitari negli aeroporti e nei porti controllati dalla coalizione araba. L’agenzia ONU World Food Programme ha chiesto l’immediato ritiro del blocco avvertendo che il suo procrastinarsi metterebbe in serio pericolo la vita di almeno sei milioni di persone già denutrite, compresi 27mila bambini. Stesso allarme è stato lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che è tornata a richiamare l’attenzione sull’emergenza colera che ha finora colpito 913mila persone causando 2.200 morti dei complessivi 8.670 (il 60% dei quali civili) registrati finora.

Il 13 novembre è arrivato il primo segnale distensivo da parte di Riad con l’annuncio della riapertura di porti e aeroporti nelle aree controllate dal governo yemenita del presidente Abdrabbuh Mansour Hadi sostenuto da Casa Saud. Tra i porti che per primi dovrebbero riprendere le attività ci sarebbero quelli di Aden, Mukalla e Mocha.

La concessione dell’Arabia Saudita potrebbe però non avere lunga durata se le Nazioni Unite non dovessero ascoltare le sue richieste, vale a dire un aumento dei controlli sugli aiuti umanitari e le spedizioni commerciali che raggiungono i territori in mano dagli Houthi, dove secondo Riad oltre a viveri, medicinali e beni di prima necessità in questi anni non hanno mai smesso di arrivare anche soldi, armi, munizioni e componenti per la fabbricazione e l’implementazione di missili. Sarebbe superfluo farsi domande sull’entità del mittente. Per i sauditi non ci sono dubbi che si tratti dell’Iran. E considerata la potenza di fuoco che in più occasioni i ribelli sciiti hanno mostrato, almeno su questo aspetto è difficile dare torto a Mohammed bin Salman.

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