Morto Robert Mugabe, ex presidente dello Zimbabwe

Da liberatore a tiranno. Repressivo, si diceva ispirato dal modello economico e dal pensiero di Mao, Robert Gabriel Mugabe è morto a 95 anni. Ex presidente, primo capo di Stato e primo capo del governo dello Zimbabwe indipendente. Ad annunciarne il decesso è stato l’attuale presidente del Paese africano Emmerson Mnangagwa. La morte sarebbe avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì, ma Mugabe era da tempo malato.

La vita. Nato il 21 febbraio del 1924 nella Rhodesia Meridionale durante il dominio coloniale britannico (poi divenuta Rhodesia e in seguito Zimbabwe), Mugabe studiò in scuole cattoliche e presso l’Università di Fort Hare, situata nella provincia del Capo Orientale, in Sudafrica. Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta insegnò in Zambia e in Ghana, dove subì l’influenza dei leader dei movimenti indipendentisti africani. A causa del suo impegno politico a favore dell’indipendenza dello Zimbabwe nel 1964 venne imprigionato. Nonostante fosse in carcere, Mugabe riuscì ad ottenere la laurea in legge dall’University of London External Programm. Uscito di prigione nel 1974, scappò in Mozambico per poi fare ritorno nuovamente in Rhodesia. Lo Zimbabwe African National Union, ZANU, fondato dallo stesso Mugabe, lo elesse suo leader nello sforzo volto a condurre la lotta armata contro il governo bianco minoritario. Furono anni di lotta durante i quali morirono molti rivali, in circostanze poco chiare. Nel 1980 il partito ZANU-PF di Mugabe vinse le prime elezioni indipendenti in Zimbabwe, e Mugabe divenne primo ministro il 18 aprile dello stesso anno. Nel 1990 ZANU-PF e Mugabe vinsero le elezioni parlamentari e quelle presidenziali. Mugabe, il capo di Stato più longevo del mondo, venne stromesso nel 2017 con colpo di Stato “dolce”, ma fu l’unico leader dello Zimbabwe dagli anni Ottanta ad oggi.

Scrive Ugo Tramballi su Il Sole 24 ore: «Al potere ininterrottamente dal 1980 al 2017, Robert Mugabe fu il simbolo del disastro africano. Non quanto il Rwanda e il Congo. Ma in una specie di legge del contrappasso, la vicinanza del modello sudafricano di Nelson Mandela e della sua “Nazione arcobaleno”, rese ancora più drammatico il fallimento e la brutalità di Mugabe. Di fronte alle proteste interne e alle pressioni internazionali, il presidente pensò di perpetuare la sua presenza, candidando la moglie Grace di 41 anni più giovane. Solo un colpo di palazzo lo poteva esautorare e dopo 37 anni di potere, quel golpe non poteva risolvere il dramma dello Zimbabwe. A farlo dimettere fu il suo vice, Emmerson Mnangagwa che, come Mugabe, perseguita gli oppositori e mantiene lo Zimbabwe nel suo perpetuo disastro economico».

Maurizio Stefanini su Il Foglio commenta l’annuncio della morte di Mugabe diffuso da Emmerson Dambudzo Mnangagwa via Twitter: «Un messaggio che è un bel capolavoro di ipocrisia, a partire dal fatto che era stato lui a rimuoverlo dalla presidenza, con un vero e proprio colpo di Stato. Mugabe, d’altra parte, al potere era arrivato nel 1980. E da allora non lo aveva più voluto mollare». «Mugabe – prosegue Stefanini – riuscì a sfasciare tutto (lo Zimbabwe era uno dei Paesi più prosperi dell’Africa) : in particolare con una riforma agraria con la quale cacciò 4000 proprietari terrieri bianchi senza però sostituirli, distruggendo così il prospero agrobusiness. In più, alla faccia del panafricanismo, infierì non solo contro gli “europei” ma anche contro i neri non di origine locale, togliendo la cittadinanza a ben 2 milioni: uno su quattro. E domò una rivolta nel Matabeleland al costo di 20.000 morti».