Il 29 febbraio è stato firmato l’accordo tra USA e talebani dopo 18 mesi di negoziati nella capitale del Qatar, Doha. L’esercito statunitense si ritirerà dal paese ma non ci sono certezze sul futuro dell’Afghanistan.
Gli accordi
L’intesa, firmata alla presenza di leader e diplomatici di Pakistan, India, Indonesia, Uzbekistan e Tagikistan, prevede un graduale ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, entro 14 mesi. Nel Paese sono presenti circa 14.000 truppe statunitensi e circa 17.000 truppe di 39 Paesi alleati della NATO. Gli Stati Uniti, per rispettare l’accordo, dovranno ridurre il numero di forze militari a 8.600 entro 135 giorni. Il governo afghano, invece dovrà impegnarsi, con il supporto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, alla rimozione dei rappresentanti talebani dalla Black list delle sanzioni, entro il 29 maggio. L’accordo prevede, inoltre, l’instaurazione di un dialogo intra-afghano con il governo di Kabul e il rilascio di 5.000 prigionieri talebani. I talebani hanno accettato di prendere parte ai negoziati intra-afghani, ma non hanno riconosciuto la legittimità del governo di Kabul. L’ufficio del consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’Afghanistan ha di conseguenza riferito che nessun prigioniero talebano sarà rilasciato prima dell’inizio dei colloqui intra-afghani, aggiungendo che la questione sarà discussa in tale sede.
Secondo le stime del governo afghano, nelle carceri del Paese ci sono dai 10 ai 15 mila prigionieri talebani, tra cui alcuni stranieri che sono stati arrestati a causa del loro supporto all’organizzazione terroristica. Il governo di Kabul ha annunciato, inoltre, che la liberazione dei prigionieri è legata all’andamento dei colloqui di pace, come parte di un pacchetto che include la discussione delle relazioni dei talebani con il Pakistan, il coinvolgimento nel traffico di droga e i termini definitivi di un cessate il fuoco. Nei giorni scorsi comunque l’inviato speciale USA Zalmay Khalilzad, ha incontrato il Capo dell’Ufficio Esecutivo del governo afghano, Abdullah Abdullah, con cui ha discusso dei futuri colloqui intra-afghani tra il governo di Kabul e i talebani, della necessità di rafforzare la fiducia tra le parti e di possibili nuove elezioni presidenziali.
Il difetto fondamentale di quest’accordo è che il governo afghano riconosciuto a livello internazionale, guidato da Ashraf Ghani, non è stato incluso nei negoziati. Accettando la richiesta talebana di escludere il governo afghano, l’amministrazione Trump ha elevato i talebani a rango di attore ed entità politica riconosciuta (ma è pur sempre un gruppo terroristico).
I rischi
A oggi, il gruppo controlla circa il 40% del Paese. Negli ultimi tre mesi del 2019 si è registrato un numero record di attacchi armati da parte dei talebani. Poco dopo la firma dell’accordo, il leader talebano Haibatullah Akhundzada ha dichiarato “vittoria a nome dell’intera nazione musulmana e dei mujahid”. La dichiarazione di vittoria di Akhundzada era piena di riferimenti all’Emirato islamico dei Talebani, rovesciato nel 2001.
Il testo dell’accordo non supporta le dichiarazioni USA per cui i talebani sono pronti a rompere la loro storica alleanza con al-Qa’ida e non include alcun meccanismo di verifica o applicazione. L’accordo, inoltre, non specifica per quanto tempo i talebani dovranno impedire ai qaedisti e in generale ai gruppi jihadisti utilizzare il Paese per attacchi terroristi. I talebani hanno continuato a giustificare gli attacchi di al-Qa’ida in Occidente e hanno sostenuto che l’11 settembre è stato il risultato delle politiche interventiste americane. Il leader qaedista ha più volte rinnovato il suo giuramento di fedeltà all’attuale leader dei talebani, Haibatullah Akhunzada. Sirajuddin Haqqani, il principale vice di Akhunzada e signore della guerra militare dei talebani, ha sempre collaborato, con il network collegato, con al-Qa’ida. I leader senior qaedisti e quelli di AQIS (la branca qaedista del Subcontinente Indiano) si riferiscono sia ad Akhundzada sia a Haqqani come “i nostri emiri”. Al-Qāʿida è ancora molto operativa in Afghanistan, oltre che essere concretamente legata a numerose Shure talebane. Il leader qaedista Al-Zawahiri in diversi videomessaggi ha più volte elogiato i talebani per aver “inferto duri colpi all’America”, costringendo “gli americani a negoziare con loro un ritiro dall’Afghanistan”.
Senza dimenticare l’infrastruttura talebana in Pakistan, dove numerosi terroristi sono di base e della rete terroristica di Lashkar-e-Tayyiba che coopera con i talebani e prende di mira l’India. I talebani hanno annunciato che le operazioni offensive sarebbero riprese e hanno compiuto diversi attentati contro le forze di sicurezza afghane. Molti combattenti talebani, infine, in particolare quelli delle Shure più estremiste, potrebbero non accettare gli accordi di pace e unirsi allo Stato Islamico (ISK).
Quale futuro?
I negoziati intra-afghani potrebbero rivelarsi un fallimento, generando violenza e insicurezza e il rischio di una guerra civile. Non è chiaro, inoltre, come dovrebbe essere governato l’Afghanistan e in che modo possano essere inclusi nella vita civile e politica gli “studenti coranici”, che dovrebbero anche acconsentire a essere completamente disarmati (in cambio del disarmo, gli insorti eviterebbero per lo più la detenzione e riceverebbero un aiuto per il reinserimento nella società). La leadership talebana vorrebbe che i loro combattenti siano integrati nelle forze di sicurezza afghane.
Ghani, a ora, non ha la credibilità e la legittimità necessaria per costruire consenso. Dovrebbe presentare i suoi rappresentanti e le altre parti politiche dovrebbero presentare i loro. Molti politici dell’opposizione afghana, tra cui Abdullah Abdullah e l’ex presidente Hamid Karzai, sperano di negoziare un accordo a porte chiuse con i talebani, aggirando il presidente Ghani, e portare alla creazione di un governo provvisorio congiunto con i talebani, scenario in cui il potere sarebbe diviso a Kabul e nelle province. Questo scenario sarebbe parzialmente gradito ai talebani poiché permetterebbe loro di influenzare o di intervenire nelle decisioni sui cambiamenti costituzionali da attuare, cercando di creare un sistema in cui il loro leader occupa una posizione importante (come l’ayatollah in Iran) e leggi islamiche più rigorose.
Il governo di Kabul presieduto da Ghani, invece, vuole che i talebani debbano accettare lo status quo e s’integrino nel sistema politico attuale. I talebani dovrebbero costituirsi come partito politico e competere nelle elezioni.
In tutto ciò non vanno trascurati i rischi regionali. Il Pakistan mira a riconquistare il proprio peso politico e garantire i suoi confini occidentali assicurando un governo amichevole a Kabul. New Delhi non vuole perdere il suo controllo su Kabul e teme un rafforzamento talebano e Islamabad rafforzata, maggiormente concentrata sul Kashmir.
I rischi legati a un fallimento dei colloqui intra-afghani, e al ritiro militare americano e degli alleati, potrebbero condurre a una guerra civile su vasta scala in cui India, Russia, Pakistan, Iran e altri attori internazionali, appoggiando le diverse fazioni, potrebbe assistere a un conflitto ancora più violento di quello che si sta tentando di porre fine.
PHOTO: US Secretary of State Mike Pompeo ahead of the signing of an agreement between Afghanistan’s Taliban delegation and the US government in Doha, Qatar, February 29, 2020. REUTERS/Ibraheem al Omari
Daniele Garofalo
Nato a Salerno, classe 1988, si è specializzato in Storia e dottrine Politiche all'Università di Napoli Federico II. Ricercatore ed analista in materia di Terrorismo Islamista e Geopolitica. Autore del libro “Medio Oriente Insanguinato” (Edizioni Enigma, 2020).
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