di Daniel Mosseri
Angela Merkel continua a fare breccia nel cuore dei suoi elettori con le sue vacanze sobrie a Ischia e sulle Dolomiti, con le visite ai pescatori, e il massimo riserbo sulla sua vita coniugale con Joachim Sauer (sposato nel 1998). I tedeschi la adorano e da Mädchen di Kohl è promossa al rango di Mutti («mamma») degli elettori: la sua popolarità è largamente trasversale alle forze politiche. A un Paese che la ama, la cancelliera regala anche dei colpi di testa: come quando nel 2011 decide di avviare la transizione energetica. L’Europa ha paura degli strascichi del disastro nucleare di Fukushima? E allora Merkel risponde ordinando la chiusura progressiva di tutte le centrali atomiche tedesche; una mossa che le guadagna un’impennata di popolarità e che, una volta ancora, si rivela un colpo basso nei confronti di una sinistra disorientata davanti a una leader cristiano-democratica di nome, ma socialdemocratica di fatto. Merkel giganteggia e gli altri traballano: con il passare degli anni, la svolta energetica si rivela un processo difficile e costoso, ma nessuno oggi tornerebbe indietro sulla via del nucleare.
Accusata da molti di essere una brava amministratrice ma una leader priva di visione strategica, Merkel smentisce i suoi critici con nuove decisioni controcorrente. Nell’agosto del 2015, poche settimane dopo aver fatto piangere in televisione una bambina palestinese senza permesso di soggiorno alla quale aveva assicurato – benché dispiaciuta – l’espulsione,Angela Merkel apre le porte della Germania ai profughi siriani, iracheni e afghani che premono sulla Grecia e più a nord sull’Ungheria, per chiedere asilo alla Germania e alla Svezia. Gli alleati di governo – di nuovo i socialdemocratici – non si oppongono, e i tedeschi rispondono con entusiasmo al gesto di solidarietà dettato da Mutti Merkel contro l’avviso di tutti, a cominciare dai suoi più vicini collaboratori.
Tuttavia, l’entusiasmo si trasformerà presto in insofferenza per un’ondata umana imponente (1,1 milioni di persone in pochi mesi) e mal gestita da una macchina organizzativa che non era stata preparata a sufficienza. La politica dell’accoglienza è la prima grande crepa nel sistema merkeliano: l’integrazione non è una passeggiata – come hanno dimostrato le molestie sessuali di piazza a Capodanno 2016 a Colonia, e l’attentato terroristico ai mercatini di Natale a Berlino dello stesso anno – e i tedeschi si scoprono in parte islamofobi. Così, i sovranisti tedeschi dell’AfD faranno incetta dei voti tra i delusi della Cdu. Della Cdu, si badi bene, e non di Angela Merkel la quale, anche nell’ora più buia, resta secondo tutti i sondaggisti il leader politico più amato dai tedeschi, curiosamente meno all’Est che all’Ovest, a conferma del suo essere una ossi atipica.
Nel 2021 al più tardi Angela Merkel lascerà il potere. La fine della sua carriera non può tuttavia essere attribuita alla sola politica di accoglienza: il primo governo di grande coalizione in Germania risale al 1966; il secondo, guidato da Merkel, al 2005. La regola non scritta della politica tedesca vuole che la große Koalition (la «grande coalizione») sia l’eccezione, non la regola.Vittima della propria popolarità e «colpevole» di aver annientato a turno i socialdemocratici e poi i liberali, Merkel è invece condannata anche da un sistema elettorale ampiamente proporzionale a due nuovi governi di larghe intese, nel 2013 e nel 2017. Questa formula nuoce ai partiti tradizionali tedeschi, che finiscono per perdere prima identità e obiettivi, e poi gli elettori. C’è da scommettere, invece, che quando Angela Merkel lascerà il settimo piano della cancelleria federale, il politico più popolare in Germania sarà ancora lei.
Tratto dal libro
Leaders. I volti del potere mondiale
A cura di Luciano Tirinannzi
Redazione
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