L’autoproclamato Stato Islamico ha rivendicato attraverso l’agenzia Amaq il primo attacco nella Repubblica Democratica del Congo, annunciando la nascita di una nuova Wilayat, ovvero della Provincia Centrafricana del “Califfato”. Non solo è il primo attacco ufficiale in un’area profondamente segnata da violenze, povertà e dal virus ebola, ma l’assalto dimostra anche quanto siano diventati più solidi e profondi i legami tra Stato Islamico e le Forze Democratiche Alleate (ADF), milizia locale fondata nel 1995 con l’obiettivo di rovesciare il governo ugandese ma anche responsabile di massacri tra civili e militari nella Repubblica Democratica del Congo. Il 18 aprile il canale della propaganda jihadista Amaq ha riferito che i combattenti del sedicente Stato Islamico avevano ucciso e ferito numerosi soldati congolesi in una località vicina alla città di Kamango, prossima al confine con l’Uganda. Successivamente, sempre Amaq riportava la notizia che i “soldati del Califfato” avevano attaccato una base militare a Bovata, a quasi 5 chilometri da Kamango, e che nell’attacco erano rimasti uccisi tre soldati congolesi e altri cinque erano rimasti feriti. L’agenzia Nashir ha poi annunciato la nascita della Wilayat dell’Africa Centrale. Un comunicato di Amaq News ha riconosciuto l’attacco quale prima azione ufficiale dello Stato Islamico nell’area, comunicato a cui ha fatto seguito una dichiarazione che proclamava la nascita della nuova Provincia dell’Africa Centrale.

L’assalto sarebbe avvenuto il 16 aprile e, secondo Reuters, è da attribuire alle Forze Democratiche Alleate (ADF). Le ADF erano già da tempo ritenute vicine allo Stato Islamico e ne hanno sposato l’ideologia. A prova di tale avvicinamento nel febbraio del 2018 testi e libri pubblicati dallo Stato Islamico furono ritrovati sul corpo senza vita di un combattente delle ADF. Un report del Congo Research Group datato novembre 2018 sottolineava che le ADF erano passate dalla solita retorica contro il governo dell’Uganda a minacciare una guerra più ampia in nome dell’Islam. La radicalizzazione ha incluso anche il cambio del nome da ADF a Madina at Tauheed Wau Mujahedeen (MTM), ovvero “La città del monoteismo e dei guerrieri sacri”. Ma non finisce qui, l’AFD/MTM avrebbe ricevuto fondi da Waleed Ahmed Zein, considerato un terrorista dal Dipartimento del Tesoro Usa e soggetto a sanzioni per aver messo in piedi un network finanziario per facilitare il trasferimento di risorse a favore dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. Secondo Congo Research Group, Zein avrebbe permesso il trasferimento di denaro da alcuni Paesi, tra cui Regno Unito e Siria, alla Repubblica Democratica del Congo per finanziare proprio le ADF. Inoltre, un portavoce del comando dell’AFRICOM ha detto di ritenere “significativi” i legami tra i combattenti ADF e il sedicente Stato Islamico.

Nelle aree saheliane e centroafricane il Jihad ha visto una considerevole diffusione. Tali aree sono luoghi dove il terrorismo islamista viene favorito dalle condizioni di instabilità politica e sociale, condizioni che si riscontrano in molti Paesi africani.

L’Africa è diventata un nuovo campo di battaglia di Al Qaeda, ma anche dello Stato Islamico, alla ricerca di nuove basi dopo la sua disgregazione territoriale in Medio Oriente, ha spiegato Marco Cochi nel libro “Il mondo dopo lo Stato Islamico” edito da Paesi Edizioni. I numerosi attacchi in Somalia, Niger, Mali, Nigeria, Burkina Faso ed Egitto ne sono la dimostrazione. Il sedicente Califfo Al Baghdadi, riapparso in un video a fine aprile a distanza di cinque anni dall’ultima volta, ha chiamato a raccolta i suoi seguaci, ha invitato a colpire la Francia proprio in Africa ed ha elogiato i combattenti jihadisti che hanno lottato contro i francesi in Mali e in Burkina Faso.

“Del resto – ha proseguito Cochi nel saggio – l’Africa riveste da tempo un particolare interesse per lo Stato Islamico, che secondo il nuovo ordine congetturato a suo tempo dal Califfo, voleva suddividerla in tre grandi wilayat (province), la cui estensione territoriale complessiva avrebbe superato ampiamente l’antica presenza nel continente dell’Impero Ottomano, che in prevalenza si espandeva lungo le coste meridionali del Mediterraneo. Le tre wilayat in questione rispondono ai nomi di Alkinana, Maghreb e Habasha. La prima avrebbe compreso Sudan, Ciad ed Egitto; mentre la seconda sarebbe stata composta da Eritrea, Etiopia, Somalia e Kenya; la terza, infine, la grande wilayat del Maghreb, avrebbe invece incluso i quattro Stati nordafricani di Tunisia, Marocco, Libia e Algeria, più la Mauritania, il Niger e la Nigeria”. “Tra tutti questi Paesi – ha continuato Cochi – ve ne sono due dove la presenza dello Stato Islamico è effettivamente più radicata: Somalia e Nigeria”. In Camerun, Ciad, Nord della Nigeria e Niger c’è la presenza della Wilayat dello Stato Islamico in Africa Occidentale (ISWAP).

Tra Nigeria, Camerun e Ciad è attiva Boko Haram, uno dei primi gruppi nella miriade di organizzazioni che fanno riferimento al network jihadista a subire il fascino dello Stato Islamico nel suo primo anno di esistenza, ha ricordato Cochi. “La tanto temuta adesione di Boko Haram al Jihad globale del Califfo Al Baghdadi – si legge ancora nel saggio – è stata inizialmente solo un semplice allineamento ideologico, da cui sono scaturiti contrasti che in seguito hanno portato alla divisione del gruppo jihadista”. Non per questo, tuttavia, Boko Haram, deve essere considerata meno pericolosa.