Non si ferma la furia contro giornalisti, scrittori e blogger in Bangladesh, Paese che sta registrando una vera e propria emergenza nazionale con la crescita dell’estremismo islamico. Qualche giorno fa c’è stato l’ennesimo omicidio. A cadere sotto i colpi di almeno quattro uomini armati è stato lo scrittore bengalese Shahzahan Bachchu di 55 anni. L’intellettuale, che si trovava da qualche giorno nel suo villagio natale di Kakaldi, è caduto in un agguato mortale lo scorso 12 giugno dopo essere uscito da una farmacia gestita da alcuni suoi amici. L’agguato è stato pianificato nei minimi particolari visto che prima dell’omicidio dello scrittore era stata fatta esplodere una bomba fuori dalla farmacia. Per Shahzahan Bachchun, rimasto stordito dallo scoppio, non c’è stato scampo. I suoi killer, a bordo di due potenti motociclette, lo hanno raggiunto uccidendolo a colpi di fucile.

Bachchu era una figura rispettata in tutto il Bangladesh ed era conociuto per essere non soltanto un famoso scrittore ma anche l’editore del settimanale Amader Bikrampur e per essere stato in passato segretario generale del Partito Comunista del Bangladesh (CPB) presso il distretto di Munshiganj. Il suo omicidio, particolarmente brutale (chi lo ha ucciso gli ha sparato decine di colpi anche dopo la sua morte), arriva quasi a ridosso del secondo anniversario della tragedia del ristorante Holey Artisan Bakery di Dacca, dove il primo luglio del 2016 vennero massacrate 20 persone, tra le quali nove italiani. Un delitto infame rivendicato da ISIS, marchiato da torture, tagli provocati dai machete e dalle mutilazioni inflitte ai corpi delle vittime. Una strage mai del tutto chiarita. Molto ci sarebbe da scrivere sul perché non sia mai stata fatta realmente luce su questo attentato, a cominciare dalla provenienza dei membri del commando, conosciuti per essere figli della buon borghesia di Dacca e i quali, pur essendo ricercati da tempo, circolavano liberamente in Bangladesh.

 

L’intellettuale e scrittore Shahzahan Bachchu

 

L’ondata di intolleranza e omicidi in Bangladesh è partita nel febbraio del 2015, quando fu ucciso lo scrittore Avijit Roy vicino alla Fiera del Libro di Dacca. Da lì numerosi scrittori laici, blogger ed attivisti sociali hanno perso la vita in attentati compiuti da militanti islamici. La propaganda jihadista in Bangladesh corre anche sul web e il governo di Dacca ha le armi spuntate contro i predicatori del male che fanno sentire i loro sermoni infuocati anche tramite un network di blog. Tra questi uno dei più letti si chiama Allahorpatheahoban (Chiamata alla via per Allah), piattaforma all’interno della quale viene minacciato chiunque provi a opporsi alla visione più estrema dell’Islam. Il predicatore del male più conosciuto, invece, è Jashimuddin Rahmani.

Il Bangladesh conta circa 163 milioni di abitanti, al terzo posto tra le nazioni islamiche per popolazione e tra gli Stati più poveri al mondo. Per questo dipende moltissimo da aiuti umanitari e donazioni. E proprio queste ultime, spesso, hanno costituito un grave problema per il Paese. Vale su tutti un caso datato maggio 2017, quando il premier Sheikh Hasina venne ricevuta con tutti gli onori a Riad in occasione di un summit tra 55 nazioni a maggioranza musulmana. All’epoca il premier tornò a casa con bel un “regalo” da un miliardo di dollari. Quei soldi, però, non erano stati donati dal Regno saudita per sfamare milioni di indigenti che popolano il Bangladesh. Il denaro è stato invece stanziato per finanziare un progetto che prevede la costruzione di 560 nuove moschee dove si insegnerà «una vera conoscenza dell’Islam» che, nella visione dei monarchi sauditi, corrisponde all’interpretazione wahhabita-salafita. Come era prevedibile, l’annuncio del progetto ha gettato nello scoramento le minoranze indù e cristiane del Paese. Insieme alle loro si sono levate anche le proteste e le pubbliche prese di posizione delle comunità di sciiti-sufi, preoccupate non solo di aver perso l’influenza storica nello sviluppo della cultura islamica locale, ma anche per la loro stessa incolumità.