Il primo passo verso la Brexit dopo il referendum del 2016 è stato il voto del Parlamento britannico, che ha avallato la decisione di uscire dall’Unione europea con una grande maggioranza (498 a 114). La Camera dei comuni ha attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che consente a uno stato membro di uscire dall’Ue. La trattativa per la Brexit è ufficialmente iniziata il 29 marzo 2017, quando la premier britannica Theresa May ha depositato al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, la lettera in cui dichiarava l’attivazione dell’articolo 50. Le trattative tra le due parti hanno subìto vari punti di svolta.

 

Le elezioni convocate da Theresa May nel giugno del 2017, nella speranza di aumentare la sua maggioranza parlamentare, hanno avuto l’esito opposto. La leader dei conservatori è stata costretta a formare un fragile governo di minoranza con il Dup, il partito degli unionisti nordirlandesi, che con i suoi dieci deputati tiene in vita l’esecutivo. Questo ha indebolito la posizione negoziale della premier, che è stata ostaggio dell’ala filo-Brexit del suo partito, che l’ha accusata più volte di un atteggiamento troppo morbido e dimesso con Bruxelles. La proposta dei Chequers avanzata da Theresa May a giugno, che andava nella direzione di una “soft Brexit”, è stata osteggiata da una parte del suo partito. L’allora segretario della Brexit, David Davis, e il ministro degli Esteri, Boris Johnson – entrambi euroscettici convinti – si sono dimessi come segno di protesta verso la premier.

 

La proposta dei Chequers è stata bocciata dai capi di governo dell’Unione europea nel vertice di Salisburgo a settembre e a quel punto si è temuto di non trovare un accordo tra le due parti. Tuttavia, i negoziati sono proseguiti e martedì sera è stata ufficializzata l’intesa, che il giorno successivo è stata approvata dal Consiglio dei ministri.

Il confine irlandese

La questione più complessa riguarda i rapporti tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del nord. L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue rischia di creare un confine tra i due paesi, che hanno siglato un accordo di pace nel 1998 dopo decenni di tensioni. Al momento, la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del nord sono divise da un “confine invisibile”: si può viaggiare o trasportare merci da un paese all’altro senza alcun bisogno di controlli alla dogana. La Brexit rischia di compromettere questa situazione perché Dublino ovviamente resterebbe all’interno dell’Ue, mentre Belfast ne rimarrebbe fuori. La priorità del governo irlandese e dell’Ue è quella di evitare un confine tra le due Irlande. Gli unionisti del Dup vogliono mantenere vivi i legami col Regno Unito e temono un allontanamento da Londra a causa della Brexit.

 

Bruxelles ha creato il cosiddetto “backstop”, che è un regolamento ad hoc per l’Irlanda del nord che resterà in vigore durante il periodo di transizione (che durerà dal 29 marzo 2019 fino al 31 dicembre 2021). Il backstop imporrà delle regole diverse per l’Irlanda del nord rispetto al resto del Regno Unito in molti campi. Questo ha fatto infuriare il Dup, che ha minacciato di votare contro l’accordo in Parlamento. Inoltre, secondo l’intesa, il Regno Unito non potrà uscire unilateralmente dal backstop finché non verrà trovato un nuovo accordo. Per uscire, avrà bisogno del consenso dell’Unione europea. Secondo i critici, tra cui l’ex ministro della Brexit Dominic Raab che si è dimesso questa mattina, il Regno Unito rimarrebbe succube dell’Unione europea. In questo modo, sostengono i detrattori dell’accordo, sarà più facile per l’Unione europea costringere il Regno Unito ad accettare un accordo sfavorevole.

 

Gli scenari futuri

 

L’accordo sulla Brexit dovrà essere approvato dal Consiglio europeo, che comprende i 27 capi di stato dei paesi Ue e che si svolgerà probabilmente il 25 novembre. Successivamente, l’intesa dovrà essere votata dal Parlamento britannico, dove sarà molto difficile per il governo trovare una maggioranza. Una pattuglia di deputati filo-Brexit del Partito conservatore voterà contro l’esecutivo. Il Partito laburista farà lo stesso, anche se probabilmente ci saranno dei dissidenti tra la fronda più ostile a Jeremy Corbyn. Resta da capire se i dissidenti tory saranno più numerosi dei laburisti. Il successo della Brexit passa anche da questo calcolo.

 

Gregorio Sorgi

pubblicato su Il Foglio.it