L’emergenza sanitaria legata al diffondersi del coronavirus ha investito tutto il mondo, creando una situazione di incertezza in molti settori. Anche nel campo dei negoziati per la Brexit le ripercussioni legate alla pandemia hanno avuto un forte impatto. Vediamo le problematiche legate alla mancata richiesta di un’ulteriore estensione, i punti di maggior disaccordo tra le parti e l’assenza di certezze rispetto alla risoluzione della questione irlandese.
“NO EXTENSION!”
Durante la conferenza stampa rilasciata il 24 aprile 2020 il capo negoziatore per l’Unione Europea Michel Barnier ha espresso preoccupazione rispetto alle tempistiche per la conclusione dei negoziati legati alla definizione dell’accordo con il Regno Unito, che dovrebbe concludersi entro dicembre 2020. Barnier, infatti, ha sottolineato come il tempo a disposizione, già molto limitato prima della pandemia, sia stato ulteriormente diminuito dall’impossibilità di portare avanti i negoziati in maniera regolare per svariate settimane. I negoziati sono ripresi solamente in forma telematica a partire da fine aprile. Un messaggio rincarato anche dal capo negoziatore britannico, David Frost, al termine del terzo round negoziale lo scorso 13 maggio, quando ha ammesso che le parti avevano compiuto progressi molto scarsi e che le divergenze rimanevano ampie, imputando all’UE la richiesta di condizioni troppo onerose alla controparte che non sarebbero contenute in nessun altro accordo commerciale negoziato sino ad oggi. L’urgenza di riprendere la discussione è stata sottolineata da Barnier in sede di conferenza stampa, dal momento che i punti su cui è necessario trovare un accordo sono numerosi e il tempo a disposizione limitato. Le scadenze più importanti di cui è necessario tenere conto per il progresso dei negoziati sono due. La prima è il 30 giugno 2020, data in cui dovrà essere deciso di comune accordo tra UE e Governo britannico se garantire un’ulteriore estensione del periodo di transizione, così come previsto dal Withdrawal Agreement concluso lo scorso anno. Prima di tale data, rimane a disposizione dei negoziatori un solo round, programmato per la settimana del 1° giugno.
La seconda data rilevante è il 31 dicembre 2020, data in cui la cosiddetta “Brexit economica” dovrà seguire alla “Brexit politica” già avvenuta nel gennaio 2020. In sostanza, l’ultimo giorno dell’anno in corso dovrebbe segnare l’uscita del Regno Unito dal Mercato Unico Europeo e dall’Unione doganale.
Sebbene l’UE sembri convinta della necessità di prolungare il periodo di transizione, il Governo di Johnson, durante un incontro video con i negoziatori europei, ha comunicato che non intende richiedere un’ulteriore estensione. In tal senso l’UE ha espresso preoccupazione, chiarendo che, per poter giungere a un accordo sostanziale sul piano economico entro la fine del mese di giugno, è necessario lavorare alacremente in uno spirito di piena collaborazione, affrontando tutte le questioni legate al futuro dei commerci bilaterali.
Fig. 1 – Michel Barnier, capo negoziatore per la Commissione Europea, dopo la fine del secondo round
INTENZIONI POCO CHIARE E MANCANZA DI CONVERGENZA
Le difficoltà nel dialogo UE-UK sembrano proseguire a dispetto della maggior coesione evocata da molti in Europa, in un momento tanto delicato quale quello di emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Tale idea pare rafforzata dalla recente scelta del Governo britannico di indirizzare alcune proposte di accordo ai soli negoziatori europei, chiedendo espressamente di non condividerne il contenuto con gli Stati Membri.
I motivi di dissenso sono, tuttavia, soprattutto sostanziali e legati alle modalità con cui le due parti intendono pervenire a un accordo definitivo. Innanzitutto, mentre l’UE vorrebbe portare avanti i negoziati in parallelo per tutte le materie oggetto del confronto, il Regno Unito sembra, invece, preferire un approccio più parcellizzato, che vada ad analizzare tema per tema. Tale approccio, d’altronde, ben si accorda con l’iniziale volontà del Governo Johnson: non un accordo generale di regolamentazione dei rapporti UE-UK, bensì un accordo commerciale sul modello di quello canadese. Bruxelles, invece, vorrebbe che qualunque tipo di accordo raggiunto si basasse su tre punti fondamentali, che il Regno Unito sembrerebbe rifiutare secondo quanto riportato da Barnier, quali la condivisione di valori di base, la continuità nell’adesione del Regno Unito alla Convenzione Europea dei Diritti Umani e il riconoscimento del ruolo della Corte di Giustizia Europea da parte del Governo britannico anche dopo la fine dei negoziati.
Un altro motivo di forte dissenso tra le due parti permane nel discorso sulla cooperazione in materia di polizia e sicurezza. Il Regno Unito, infatti, secondo Barnier, continuerebbe a offrire vaghe dichiarazioni di principio in materia e vorrebbe discostarsi dalla normativa europea rispetto alla protezione dei dati personali.
Infine una delle questioni ancora irrisolte rimane quella della pesca. L’Unione Europea, infatti, lamenta una certa mancanza di chiarezza da parte del Regno Unito nella definizione degli spazi e delle possibilità di pesca in acque britanniche. Scarsità di chiarezza che, a dire dell’Unione, andrebbero a scapito dei pescatori europei operanti in quell’area.
Fig. 2 – David Frost, capo negoziatore britannico, insieme al suo omologo UE
LA QUESTIONE IRLANDESE
Il problema principale rimane quello irlandese. Il 30 aprile scorso per la prima volta si è riunito il comitato speciale realizzato per l’implementazione del protocollo sull’Irlanda del Nord. A seguito di tale incontro la Commissione Europea ha chiesto al Governo britannico di chiarire il suo piano per la messa in atto delle misure previste per l’area in oggetto, nonché di condividere le scadenze con l’UE. La Commissione ha sottolineato, infatti, l’importanza di rendere chiari i piani di Londra il prima possibile, in modo tale da permettere alle imprese dell’Irlanda del Nord di adattarsi. L’incontro del 30 aprile, tenutosi in maniera virtuale, ha riunito alcuni ufficiali del Governo britannico, alcuni rappresentanti della Commissione Europea, degli Stati Membri e dell’Irlanda del Nord. In tale sede è stato sottolineato che l’obiettivo primario dei negoziati sarà quello di tutelare il Good Friday Agreement, concluso nel 1998 a conferma dell’avvio del processo di pace nei territori dell’Irlanda del Nord. Sebbene si tratti di un obiettivo di massima decisamente rilevante, dato il potenziale riaprirsi di scontri nella zona, una volta conclusasi la Brexit, molto rimane ancora da fare, soprattutto per tutelare le imprese locali. In tal senso la Northern Ireland Retail Consortium ha fatto sapere che le imprese necessitano di conoscere il prima possibile quali iniziative verranno adottate per quel che concerne i costi aggiuntivi che, inevitabilmente, si proporranno alle imprese locali.
Sono quindi molti gli aspetti che rimangono da chiarire prima del 30 giugno 2020. È difficile poter fare una valutazione a priori sulle possibilità di successo in tal senso, ma, allo stato dei fatti, appare improbabile che i negoziatori saranno in grado di concordare gli aspetti più salienti dell’accordo entro tale data. Le prossime settimane saranno decisive per capire in quale direzione si orienterà la trattativa.
PHOTO: UK chief negotiator David Frost (left) and European Union chief negotiator Michael Barnier at the start of the first round of post-Brexit trade deal talks in Brussels, Belgium, on March 2. (Photo: Reuters)
Mariasole Forlani, Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
Mariasole Forlani
Nata a Ivrea nel 1992. Dopo la laurea in Giurisprudenza con specializzazione in Diritto Internazionale, ha conseguito un Master Avanzato di Diritto Pubblico Internazionale nei Paesi Bassi. Poi, un corso in Diplomacy. Si occupa di Giustizia di Transizione, specialmente nei Balcani, e Mercato UE – Paesi Terzi.
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