La sera del 16 gennaio il Parlamento britannico ha salvato dalla sfiducia la premier Theresa May, uscita sconfitta dal voto negativo di Westminster in merito all’accordo su Brexit negoziato con l’Unione Europea. Con 325 voti a favore su 306 May ha ottenuto la fiducia dalla Camera dei Comuni e ha reiterato il suo impegno ad abbandonare l’UE. La dura battuta d’arresto dell’accordo che definiva l’uscita amichevole dall’Unione, i cui termini erano stati negoziati negli scorsi 18 mesi, è stata giudicata la sconfitta più grave mai subita da un leader britannico in tutta l’era moderna. May, anche se con le ossa rotte, è sopravvissuta al voto sulla fiducia come era stato ampiamente previsto, e adesso è impegnata a trovare una soluzione di compromesso che accontenti le forze politiche e che serva a evitare il “no-deal”.

L’uscita senza accordo si configurerebbe se entro la data del 29 marzo il Regno Unito non riuscisse ad approvare un testo negoziato con l’Unione, un’ipotesi catastrofica secondo molti, meno grave di quanto si possa pensare stando ad altre previsioni. Tuttavia, il no-deal potrebbe causare un crollo del valore della sterlina, tra le altre conseguenze, che includono lo stop all’arrivo di merci di prima necessità e di farmaci sugli scaffali dei negozi britannici.

Per trovare un compromesso e uscire dal vicolo cieco imboccato su Brexit May incontrerà a partire da oggi i leader di tutti i partiti di opposizione. La premier ha tuttavia l’urgenza di comprendere le ragioni di una componente del suo partito, scontenta per l’accordo negoziato con Bruxelles. Il capo dei conservatori Brandon Lewis ha affermato oggi, giovedì 17 gennaio, che la Gran Bretagna non può restare nell’attuale unione doganale perché tale permanenza bloccherebbe lo sviluppo di una politica indipendente sul commercio con l’estero. Su questo punto May è sembrata voler andare incontro alle richieste dei sostenitori di Brexit quando ha detto «servono opportunità nuove per i commerci con il mondo intero». I laburisti sono invece favorevoli a legami più stretti con i Paesi UE e chiedono alla May la permanenza nell’unione doganale.

Molto difficile sarà per il capo del governo trovare un canale di comunicazione con il leader dei laburisti Jeremy Corbyn che si è detto disponibile a un incontro, ma che ha anche rifiutato qualsiasi dialogo se prima non verrà esclusa l’eventualità del “no-deal”. Corbyn, che aveva presentato la mozione di sfiducia contro il governo May, è anche poco incline a un secondo referendum sulla membership UE, referendum al quale si oppone anche la stessa May e che invece i laburisti vorrebbero. Il primo ministro ha ripetuto che la volontà del popolo britannico è che si proceda con Brexit, aggiungendo che l’eventualità di andare alle urne per nuove elezioni «la soluzione peggiore possibile». L’ipotesi di nuove elezioni sembra al momento scongiurata dopo il voto di fiducia incassato da May nella serata del 16 gennaio, ma secondo Corbyn sarebbe ormai tempo di mandare a casa questo governo di «zombie».

May dovrà tornare alla Camera dei Comuni non più tardi di lunedì 21 gennaio per presentare il suo “piano B” e chiederne l’approvazione, ma il margine di manovra è assai ristretto visto che le manca un consenso trasversale tra le forze politiche. La premier ha detto di voler ripensare alcune delle red lines relative a Brexit per avere l’appoggio del Parlamento. Downing Street ha comunque fatto sapere che il voto della Camera dei Comuni sul piano B di May è stato fissato al 29 gennaio.

Un’opzione sarebbe chiedere all’Ue di riaprire le trattative su un nuovo accordo, ma i leader europei non sembrano disposti a rinegoziare il testo del patto raggiunto con Londra.«La palla ora è nel cortile della Camera Bassa di Londra», aveva detto il cancelliere austriaco Sebastian Kurz. May potrebbe però ottenere dall’Europa qualche impegno in grado di placare i timori dei Tory. La questione del rinvio del termine del 29 marzo, data in cui il Regno Unito uscirà dall’UE, non è più un’ipotesi ma è diventata quasi una certezza viste le poche settimane che mancano alla scadenza e considerato il caos politico che regna nell’isola. I ministri di Francia, Germania e Spagna hanno appoggiato l’idea di concedere più tempo a Londra, ma in questo caso il prolungamento dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona sarà molto complesso a causa dell’avvicinarsi delle elezioni europee.