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Mentre Wuhan è ripartita dopo 76 giorni di rigido lockdown, in Cina, e soprattutto nel mondo, si inizia a parlare dei tanto discussi wet market, del loro ruolo nella pandemia e delle misure da adottare in futuro nei loro confronti.

1. EPIDEMIA FINITA IN CINA?

L’8 aprile Wuhan, epicentro della Covid-19 in Cina, ha riaperto dopo 76 giorni di rigido lockdown. In particolare, sono ripartite diverse attività economiche, mentre vengono consentiti sia i collegamenti urbani sia i trasporti per uscire dalla città. È diventato virale un video diffuso dai media cinesi in cui si vede la rimozione delle barriere al casello per il pedaggio e le prime auto incolonnarsi per lasciare Wuhan. È in corso un grande dibattito sulla situazione virale nel Paese: è già tutto finito o in realtà anche la Cina ha ancora bisogno di tutelarsi? Infatti, dopo le perplessità dichiarate dal mondo sui numeri di contagi e deceduti nella Terra di Mezzo, è arrivata a sorpresa dai media locali una “revisione”i decessi sono saliti quasi del 30%, a 4.632. Wuhan da sola, con 3.869 morti, consta l’83% sul bilancio delle vittime e molti sostengono che questo numero sia ancora falsato rispetto alla realtà. Quali misure prenderà la Cina per limitare altre epidemie in futuro? Un ruolo è stato giocato anche dai wet market, dove il consumo di animali selvatici sembrerebbe aver causato la Covid-19, arrivata forse da un intermediario venduto in questi mercati: un pipistrello o un pangolino.

 

Fig. 1 – La stazione ferroviaria di Wuhan di nuovo in funzione dopo la “riapertura” della città, 21 aprile 2020

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2. LO STOP ALLA VENDITA DEGLI ANIMALI SELVATICI

A fine marzo, come riporta l’agenzia di stampa Xinhua, la Cina ha deciso di vietare il traffico di animali selvatici e abolirne il consumo per salvaguardare la salute della popolazione. Shenzhen e Zhuhai, famose città del Canton, hanno persino vietato il consumo della carne di cane e gatto. Il Canton (Guangdong in cinese) è infatti una regione della Cina famosa per l’enorme varietà di specie animali consumati, tradizione millenaria ancora in corso: parte di un detto recita “che mangino tutto ciò che ha le zampe eccetto i piedi del tavolo!”. Molti attivisti, in particolare quelli della Wildlife Conservation Society, organizzazione per la protezione degli animali, sostengono che questa volta il divieto potrebbe tramutarsi in legge nei prossimi mesi. Solo così il bando diventerebbe definitivo. L’8 aprile, infatti, sono stati riaperti anche i wet market, seguendo la limitazione della vendita degli animali selvatici. Un video del South China Morning Post riporta come quelli di Wuhan fossero quasi completamente deserti. Molti clienti hanno ancora paura del contagio e, sebbene la sensibilizzazione della popolazione cinese sia un fattore positivo, c’è anche molto altro da considerare quando si parla della chiusura definitiva di questi mercati.

Fig. 2 – Un banco del pesce in un wet market di Shanghai. Il Governo cinese ha vietato la vendita di animali selvatici in tali strutture commerciali

3. GLI INTERESSI DIETRO AI WET MARKET

Chiudere i wet market, però, potrebbe essere più complesso di quanto sembra. La rivista Vox sottolinea che i wet market sono anche adibiti alla vendita di animali vivi comunemente usati per l’alimentazione umana, come i polli, e gran parte della popolazione di ceto medio-basso è costretta a far la spesa in questi posti, molto più economici dei grandi supermercati. I veri problemi, però, restano due: quello culturale e quello economico. Molti dei cittadini del ceto basso si sono da anni riconvertiti in allevatori di specie selvatiche, dando vita a un grande mercato nero e facendo di questa attività anche l’unica fonte di reddito familiare. Un altro punto riguarda gli enormi interessi corporativi che stimolano l’espansione di questo mercato. Gli animali selvatici sono usati anche come cure per la medicina cinese, inclusi i rimedi contro il coronavirus. Pipistrelli, pangolini, zibetti e altri animali – potenziali portatori di virus – sono utilizzati in molte delle loro parti, dalle scaglie alle feci alla bile. Per questo la domanda che sorge spontanea è: come si farà a chiudere o regolamentare un mercato – quello dell’allevamento di queste specie – che rappresenta 73 miliardi di dollari e dà occupazione a più di 14 milioni di persone?

Di Giulia Quarta, Pubblicato su Il Caffè Geopolitico

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