Jamal Khashoggi era un oppositore diverso da altri. Aveva contestato in modo duro il principe Mohammed, ma al tempo stesso aveva mantenuto rapporti solidi con personalità saudite, figure di primo piano. E forse per questo l’erede al trono ne temeva il ruolo e la parola.

Cresciuto a Gedda, 60 anni, il giornalista ha attraversato un pezzo importante della realtà mediorientale, legato da vincoli familiari e scelte ad un periodo tumultuoso. Suo nonno era un noto medico che frequentava la casa reale mentre lo zio Adnan, il miliardario, è stato al centro di affari, traffici, manovre come l’Irangate e gossip. Ma, secondo il New York Times, le relazioni non sarebbero state così strette. Per uno strano giro della vita Adnan “il ricco” venderà il suo famoso yacht Nabila a Donald Trump che, a sua volta, lo cederà qualche anno dopo per fare cassa al principe al Waleed, in seguito sponsor dell’esule.

Jamal ha studiato negli Stati Uniti – in Indiana -, non hai nascosto la sua vicinanza (in passato) alla Fratellanza musulmana, oggi vista da Riad come il “Diavolo”. Negli anni ’80 il giornalista è rimasto affascinato, come tanti, dalla lotta dei mujaheddin contro i sovietici e non ha esitato a partire per le aspre montagne rifugio dei guerriglieri. Di quel periodo gli restano la passione, molto racconti di prima mano e alcune foto, compresa una che lo ritrae con il Kalashnikov in pugno. E’ affascinato e coinvolto profondamente da quella sfida che ha visto tanti volontari arabi partecipare alla resistenza. Sarà colpito anche dalla figura di Osama bin Laden, all’epoca al fianco dei partigiani anti-russi. Infatti quando il capo di al Qaeda sarà ucciso dagli Usa, il commentatore manifesterà tutto il suo dolore.
Khashoggi ha agito a lungo all’interno della cerchia del principe Faysal, responsabile per anni dei servizi segreti. Non meno significativo il suo lavoro a fianco del principe al Waleed bin Talal, imprenditore molto noto a livello internazionale. E’ stato lui a finanziare un canale tv diretto dal giornalista.
Quando nel 2017 il principe Mohammed è nominato delfino del re, il commentatore sembra sposare l’idea di una riforma del regime, ma progressivamente si allontana dai vertici di Riad. Critica la guerra condotta dai sauditi nello Yemen – migliaia le vittime tra i civili -, è la fonte privilegiata di alcuni grandi reporter statunitensi, aumenta il tono della polemica nei confronti di chi comanda. Con coraggio condanna l’arresto di molti esponenti sauditi, compreso al Waleed, rinchiusi dentro l’hotel Ritz Carlton, denuncia la stretta repressiva.
Per Khashoggi gli spazi di manovra nella penisola arabica si chiudono, si trasferisce negli Stati Uniti e va a vivere a McLean, in Virginia, lasciando in patria la ex moglie e la sua famiglia. E’ l’inizio della fine. Scrive sul Washington Post, ha molto progetti, si sottrae ai moniti sempre più severi che arrivano dall’entourage di Mohammed. Imbocca un sentiero difficile che lo porterà fino al consolato di Istanbul. Una visita obbligata per ottenere documenti necessari ad un secondo matrimonio, un passo sconsigliato da qualche collaboratore, timoroso che quel viaggio potesse riservare brutte sorprese. Non si sbagliava.

di Guido Olimpio, Corriere della Sera