Un paese fragile dal punto di vista economico e militare, intimorito da una formazione ribelle che torna a marciare sui palazzi del potere. Un regime che per sopravvivere ha bisogno dell’aiuto dell’ex potenza coloniale. E’ il quadro tracciato da uno studio dell’autorevole osservatorio di Bruxelles.

«Una minaccia alla sicurezza del Ciad che non ha precedenti negli ultimi anni, ma che soprattutto mette in evidenza la fragilità del paese guidato dal presidente Idris Déby Itno». Così, l’International Crisis Group (Icg) ha vagliato l’incursione nel nord-est del Ciad di una colonna armata dell’Unione delle forze della resistenza (Ufr) proveniente dalla Libia e i raid aerei condotti dall’aviazione francese tra il 3 e il 6 febbraio per respingere i ribelli.

Il massiccio intervento aereo eseguito con caccia Mirage 2000 e con un drone Reaper è stato risolutivo nel neutralizzare l’offensiva dell’Ufr, un movimento ribelle ciadiano composto in maggioranza da combattenti di etnia zaghawa e guidato da Timan Erdimi, nipote del presidente Déby.

Erdimi vive in Qatar e già nel febbraio 2008, con l’appoggio di otto gruppi ribelli, aveva tentato di rovesciare lo zio. Poi, nel maggio 2009, dopo aver unito tutti i movimenti di guerriglia ciadiani sotto la sigla dell’Ufr, aveva raggruppato alcune brigate di combattenti che, partite dalla frontiera del Sudan, erano riuscite ad arrivare ??alle porte della capitale N’Djamena, prima di essere respinte con estrema difficoltà dalle forze di sicurezza ciadiane.

Anche questa volta, l’incursione armata in territorio ciadiano aveva l’obiettivo di porre fine alla quasi trentennale presidenza di Déby, come confermato dal portavoce dell’Ufr, Youssouf Hamid Ishagh, secondo cui «la colonna di ribelli era diretta a N’Djamena per rovesciare il presidente e insediare un governo di transizione che avrebbe riunito tutte le forze vitali del paese».

Deby e l’alleato libico

Secondo gli esperti del think tank, l’incursione dei ribelli ciadiani è stata probabilmente accelerata dall’offensiva lanciata a metà gennaio dall’Esercito nazionale libico (Enl), guidato dal potente generale Khalifa Belqasim Haftar, per estendere il suo controllo al sud del paese. La tesi degli analisti dell’Icg si basa sul fatto che l’Ufr abbia percepito una minaccia alla sua integrità territoriale, poiché è proprio nella parte meridionale della Libia che ha installato le sue basi, dopo l’espulsione nel 2010 dal Darfur sudanese.

E malgrado il portavoce dell’Ufr affermi che l’avanzata dei suoi combattenti nel Ciad settentrionale sia stata pianificata da lungo tempo e non avesse alcuna connessione con le operazioni militari dell’Enl, altri membri del gruppo riconoscono che la pressione esercitata dalle forze di Haftar li ha spinti ad attraversare prontamente il confine.

L’analisi valuta inoltre che l’Ufr è stata per un certo tempo vicina alle milizie di Misurata e alle Brigate di difesa di Bengasi, movimenti rivali del generale Haftar, che ha dato ampia prova di essere vicino a Parigi e soprattutto di essere un alleato strategico di N’Djamena nella regione. Le milizie di Haftar, tra l’altro, hanno spesso preso di mira le posizioni dei ribelli ciadiani nel sud della Libia. L’avanzata di Haftar è dunque anche mirata ad indebolire ulteriormente l’Ufr.

Esercito demotivato

Un altro aspetto messo in evidenza dall’autorevole osservatorio di Bruxelles è che la richiesta di aiuto dell’esecutivo di Déby alla Francia evidenzia che l’esercito ciadiano, spesso presentato come ben equipaggiato e addestrato, ha invece parecchie lacune. Secondo alcuni ufficiali contattati dall’Icg, «l’esercito, presente in diversi teatri di operazione (in Mali, nella regione del Lago Ciad e su più fronti interni nel Tibesti, alla frontiera con la Libia) è sovraccarico di lavoro e i soldati sono demotivati. Soprattutto, dopo i tagli alle indennità, approvati negli ultimi anni per far fronte alla crisi finanziaria causata dal crollo dei prezzi del petrolio».

Sulla base di questa testimonianza, gli analisti ritengono che gruppi come l’Ufr continueranno a incoraggiare le diserzioni, mettendo in discussione la solidità del potere ciadiano, che risiede principalmente nell’esercito, sottolineando allo stesso tempo la fragilità di questo paese guidato dall’‘uomo forte’ della regione.

Il sostegno francese

In questo contesto, c’è da tenere in considerazione che gli oppositori politici di Déby hanno duramente criticato l’intervento militare francese, il primo in Ciad dal 2008. I raid aerei della missione Barkhane sono stati interpretati dal dissenso interno come una nuova prova del sostegno incondizionato che la Francia ha sempre garantito a Déby. Un sostegno che adesso è diventato ancora più importante, mentre i gruppi armati ciadiani premono ai confini e il presidente è indebolito da disordini sociali e da una crisi economica che si protrae da molti anni.

Da parte sua, Parigi ha difeso il suo intervento, sottolineando di averlo condotto su specifica richiesta delle autorità di N’Djamena e nell’intento di preservare la stabilità sia del Ciad che della regione. Di certo, chiedendo per la prima volta dal 2008 alla Francia di intervenire militarmente sul suo territorio, il presidente Déby ha dimostrato di prendere molto sul serio la minaccia dei ribelli dell’Ufr.

Marco Cochi

articolo pubblicato su Nigrizia.it