Il potere all’interno del Partito Comunista Cinese, che in passato era stato gradualmente distribuito e diluito tra i leader principali e i funzionari minori dopo la morte di Mao Zedong nel 1976, oggi è nelle mani di un solo uomo: Xi Jinping. Tuttavia, dopo la crescita della sua autorità a cui si assisterà durante il 19° Congresso, Xi dovrà ridistribuire questo potere, altrimenti, in un attimo, le cose potrebbero sfuggire dal suo controllo.
Come e perché questo accumulo di potere nelle sue mani si sia concretizzato è abbastanza chiaro (attraverso la martellante campagna anticorruzione). Come e se la ridistribuzione di questo potere avverrà resta invece un punto interrogativo.
La prima generazione di leader cinesi è stata formata da “professionisti della rivoluzione” come Mao, Zhou Enlai e Deng Xiaoping. Erano uomini dotati di una grande visione, non dei “dirigenti” del Paese. La seconda generazione di leader, di cui sono stati espressione Jiang Zemin e Hu Jintao, era formata da ingegneri e tecnici che hanno puntato anzitutto sullo sviluppo del Paese. La terza generazione di leader, quella attuale, è qualcosa di diverso.
Le nuove leve che aspirano a entrare nel Comitato permanente, come il capo del Partito di Chongqing Chen Min’er e il capo del Partito di Guangdong Hu Chunhua, si sono laureati in letteratura cinese; erano aspiranti scrittori e poeti. Xi Jinping stesso ha studiato filosofia e legge. La loro educazione assomiglia a quella che hanno avuto i padri fondatori del Partito Comunista Cinese, Chen Duxiu e Li Dazhao, i quali hanno fatto studi classici, hanno sviluppato un forte interesse per la politica e guardato al futuro della Cina nell’ottica di un’ampia visione simile a un sogno.
Xi Jinping ha studiato filosofia e legge. La sua educazione assomiglia a quella che hanno avuto i padri fondatori del Partito Comunista Cinese Chen Duxiu e Li Dazhao
La visione di Xi è il “sogno cinese”, formula che suona come la versione cinese del “sogno americano”. Una visione che potrebbe tradursi in un “sogno americano” con caratteristiche cinesi.
In questa versione cinese del “sogno americano” è però necessaria una certa ridistribuzione del potere, altrimenti non si realizzerà alcun sogno. Ma per ridistribuire il potere questo deve essere prima pienamente maturato, altrimenti questo sogno, che è il primo sogno di Xi, rischierà di essere inquinato da persone che hanno sogni diversi o che non hanno sogni. Qui si presenta un problema ideologico e pratico: quando il potere potrà dirsi acquisito da Xi in maniera sufficiente per essere ridistribuito?
In teoria, ci sono due esempi vicini alla Cina che possono valere come precedenti: la Corea del Sud e Taiwan. In entrambe queste realtà, le dittature si sono gradualmente trasformate in democrazie altamente funzionanti. La Corea del Sud ha mantenuto lo slancio della crescita economica, Taiwan si è bloccata sul piano economico scivolando in un conflitto interno.
Non c’è una risposta univoca sul perché del progresso della Corea del Sud e dello stallo di Taiwan. Alcuni dicono che il modello Taiwan non ha funzionato perché al suo interno c’è troppa democrazia; altri sostengono che il motivo sia dovuto al fatto che gli imprenditori taiwanesi siano emigrati in massa sulla “terraferma” a partire dagli anni Novanta attirati dalle politiche favorevoli e dalle enormi opportunità offerte dalla Cina. Ciò ha privato l’isola di capitale economico e di idee. In un certo senso, la crescita della Cina è anche il risultato del graduale stallo di Taiwan.
Nella versione cinese del “sogno americano” è necessaria una certa ridistribuzione del potere. Altrimenti non si realizzerà alcun sogno
In ogni caso, a Taiwan l’ex presidente Jiang Jingguo (al potere dal 1978-1988, anno del suo decesso), ha avviato un piano di riforme liberali negli anni Ottanta ma solo dopo aver acquisito un potere maggiore rispetto a quello di cui oggi dispone Xi in Cina.
Ma in un Paese così complesso in cui vivono 1,4 miliardi di persone, come può Xi Jinping avere in mano lo stesso potere che Jiang Jinguoo ebbe in un Paese che aveva appena l’1% della popolazione attuale della Cina? […] In Cina ci sono segnali di tensione evidenti. Tuttavia, la maggior parte delle persone continua a sostenere Xi, perché il presidente ha migliorato la loro vita alleviando il Paese dalle piaghe sociali e finanziarie della corruzione.
Le dinamiche interne della Cina rappresentano anche una questione esterna a causa dell’impatto internazionale che il Paese ha nel mondo. Vale a dire che Xi e i suoi “ragazzi” devono conquistare non solo i cuori e le menti del popolo cinese, ma di tutte le persone che sono influenzate direttamente o indirettamente dalle politiche cinesi.
Ma se la recente storia di copertina di The Economist è vera, vale a dire che Xi è più potente del presidente americano Donald Trump, siamo di fronte a un paradosso. Se ciò fosse vero il 19° Congresso del Partito Comunista Cinese dovrebbe essere l’evento politico più importante dei prossimi cinque anni. Invece riceve forse meno dell’1% della copertura internazionale che hanno ricevuto le ultime elezioni americane!
Ciò avviene semplicemente perché in Cina non c’è quasi nulla che i media dovrebbero coprire: nessuna campagna politica, nessuna intervista, nessuna notizia straordinaria. Niente. Ciò significa anche nessuna interferenza esterna, che può essere un elemento positivo, ma che di certo non aiuta il governo cinese a entrare nei cuori e nelle menti della gente di tutto il mondo. A molte persone nel mondo e in America Donald Trump può non piacere, ma il 90% del mondo segue con interesse le elezioni statunitensi.
Al 19° Congresso del Partito Comunista Cinese non c’è quasi nulla che i media dovrebbero coprire. Ciò significa anche nessuna interferenza esterna, che di certo però non aiuta Xi Jinping a entrare nei cuori e nelle menti della gente di tutto il mondo
Ciò rende il presidente americano anche il presidente del mondo (cosa che Trump potrebbe non aver capito del tutto, ma questo è un altro aspetto) e, al contempo, fa del presidente cinese solo il presidente della Cina. Il che fa sì che ogni estensione degli interessi cinesi nel mondo venga vista come indebita, quasi al pari di un’invasione.
Eppure, questa sarà la situazione anche dopo il 19° Congresso, quando Xi e i suoi “ragazzi” dovranno iniziare a pensare alla ridistribuzione del potere. Ciò potrebbe non richiedere troppo tempo. Infatti, la questione entrerà nel vivo subito dopo il Congresso durante il summit tra Xi e Trump all’inizio di novembre a Pechino. Trump vorrà sapere cosa vuole fare la Cina con la Corea del Nord e sugli accordi commerciali con gli USA, e Xi dovrà dare delle risposte. Xi cercherà di trascinare per le lunghe il confronto e guadagnare tempo, ma per lui non sarà semplice. Xi sarà chiamato a fare delle scelte politiche che avranno un impatto all’interno del Paese e internazionale.
Francesco Sisci
Sinologo, editorialista, laureato e specializzato in Lingua cinese a Venezia e a Londra, è stato il primo straniero ammesso alla Scuola superiore dell'Accademia cinese delle scienze sociali di Pechino. Contribuisce a diverse riviste e gruppi di riflessione su questioni geopolitiche.
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