A Cipro Nord Ersin Tatar, uomo di Erdogan, volto di una secessione già in atto, ha vinto le elezioni presidenziali. Uno scarto irrisorio al ballottaggio, 51,74% contro il 48,26 del Presidente uscente, Mustafa Akincı. Quanto basta per far crollare, forse, ogni speranza di soluzione federale dell’annosa Questione Cipriota.
Da un lato, i politici turco-ciprioti dipendono ogni giorno che passa sempre di più dal governo turco. In realtà, col Presidente Akincı non era così, nonostante nel 2015, appena eletto, si fosse sentito dire da Erdogan, in diretta sulla CNN turca, di «prestare attenzione a quel che gli esce di bocca». Dall’altro, praticamente la metà dei turco-ciprioti, così come faceva e fa Akincı, crede ancora in una soluzione politica che si discosti dalle mire espansionistiche del leader anatolico e in cui prevalga il sentire “cipriota”, com’era ormai più di 45 anni fa, quando, prima dell’invasione turca, greco-ciprioti e turco-ciprioti convivevano senza alcun problema.
Sono questi i due aspetti principali dell’analisi del voto dello scorso 18 ottobre, per il quale la parola che prevale è una: spaccatura. Se n’è resa conto anche l’Associazione Unite for Cyprus, da anni attiva sul territorio al fine di promuovere la cooperazione tra le due entità politiche, economiche e sociali dell’isola. Nell’ultimo post dello scorso 23 ottobre è palese come esprima gratitudine nei confronti di tutti i concittadini turco-ciprioti che da sempre rifiutano civilmente di seguire le direttive provenienti dal governo turco. Allo stesso modo, non manca la critica ai leader greco-ciprioti, responsabili di non aver appoggiato abbastanza la soluzione pacifica federale.
Un cittadino arriva dove può. Un cittadino fa la proprio parte. Un cittadino si stanca, se la politica non fa la sua. Pare che i turco-ciprioti si siano stancati, più che del volersi sentire ciprioti, di essere presi in giro.
Tuttavia, il problema è un altro: Erdogan vede nella violenza e nella provocazione la sola maniera per accaparrarsi l’attenzione mediatica e per incentivare le proprie mire espansionistiche. Non è un caso che subito dopo l’elezione della sua spalla Tatar nella Repubblica Turca di Cipro Nord, sia partita l’offensiva contro la Francia, colpevole di «trattare i musulmani come gli ebrei».
La risposta della Francia non si è fatta attendere. Quella dell’Italia e degli altri Paesi europei neanche. È un tutti contro tutti nel Mediterraneo, a caccia del gas cipriota. Quello su cui in teoria la Turchia non potrebbe esercitare alcun diritto, ma per il quale ha già mosso navi più volte nei mesi scorsi, non curandosi delle sanzioni economiche prontamente inflitte dall’UE. Adesso, però, Erdogan ha un nuovo alleato: Tatar potrebbe aprirgli le porte del Mediterraneo.
Ersin Tatar, the Turkish Cypriot prime minister- Copyright Ali Balıkçı/Anadolu Agency
Giovanni Vazzana
Classe 1986. Palermitano di nascita, a Pisa gli studi universitari linguistici. Poi assistente di lingua italiana in Lorena, Francia. Da sempre attento ai problemi delle minoranze, degli Stati divisi, in particolare Cipro. Aderisce all’Associazione italiana Giovani per l’UNESCO.
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