Come era prevedibile, il tentativo dell’ex premier Giuseppe Conte di “convincere” Beppe Grillo a consegnarli la leadership del Movimento cinque stelle si è concluso immediatamente in un nulla di fatto. «Beppe ha fatto la sua scelta, essere il padre padrone della sua creatura», ha confidato Conte ai suoi sostenitori tra i Cinque stelle all’interno e fuori dal parlamento. Sarà interessante adesso capire quale sarà la sua prossima mossa. Anche se, senza l’appoggio dell’establishment del partito, per lui l’unica strada percorribile è la fondazione di un nuovo (l’ennesimo) soggetto politico personale. Sul modello, insomma, di quanto fatto negli ultimi tempi da Renzi con Italia Viva prima e Calenda con Azione poi. Ecco un profilo dell’ex primo ministro tracciato in L’avvocato e il Banchiere di Maurizio Stefanini e Sergio Luciano, edito da Paesi Edizioni lo scorso febbraio. Proprio nei giorni in cui Mario Draghi sfilò a Giuseppe Conte la presidenza del Consiglio.
La famiglia di Conte in realtà non era originaria di Volturara Appula, ma di Cerignola. E da Volturara Appula Giuseppe se ne andò quando aveva appena tre anni, anche se per molte estati ci tornò in vacanza. I genitori in un primo momento si trasferirono a Candela. Sempre subappennino Dauno, ma da un’altra parte della Provincia di Foggia: estremo sud, al confine con la Basilicata. E lì Giuseppe iniziò le elementari. Ma poi andarono a San Giovanni Rotondo: cittadina di 27 mila abitanti, famosa perché vi visse e vi è sepolto Padre Pio. Sempre Provincia di Foggia, ma all’est.
In quegli anni ’60 in cui per il boom la provincia italiana si spopolava e i campagnoli emigravano in città, può sembrare strana la vicenda di una famiglia che invece si spostava da un piccolo centro all’altro della Daunia. Ma i genitori erano dipendenti pubblici: quel tipo di dipendenti pubblici che appunto per servire lo Stato devono rappresentarlo anche nei piccoli centri. La mamma, Pasqualina Marina Roberti, detta Lillina, era maestra elementare. Il papà, Nicola Conte, segretario comunale. Ovvio l’impatto dell’insegnante in un paesino. Ma ancora più quello di un «organo monocratico» – questa la definizione formale – che specie in piccole realtà dove sindaco e consiglieri sono politici alla buona, è quello che poi sa veramente come far funzionare la macchina amministrativa.
Insigne storico, Carlo Felice Casula fu un po’ il primo mentore di Conte: come responsabile della conduzione di quel collegio universitario Villa Nazareth presso cui il ragazzo andò a stare, quando venne a studiare a Roma. E da allora è rimasto suo amico. Parlando di Conte con l’autore di queste pagine, Casula tiene appunto a sottolineare il peso che quel doppio modello può aver avuto nella sua formazione: «Al di là della condizione economica più che dignitosa della famiglia, entrambi i genitori svolgevano un lavoro che è a stretto contatto con le persone», osserva. «Sia la maestra che il segretario comunale hanno nei confronti della gente una conoscenza e una sensibilità che non sono di tipo impiegatizio o burocratico. Sempre difficile in questi casi fare delle deduzioni, ma ho sempre pensato che l’interesse e la sensibilità di Giuseppe Conte per i problemi reali delle persone dipendano anche da queste sensibilità familiari. Il segretario comunale è forse la figura che più conosce quelle che sono le condizioni dei cittadini nel Comune. E la maestra è quella che conosce in profondità tutti i problemi delle famiglie: in particolare delle famiglie con difficoltà economiche».
L’Avvocato del Popolo? «Lo hanno deriso per questa etichetta», si lamenta Casula. «In Italia ormai viviamo una deriva per cui basta aggiungere un “ismo” per banalizzare o deridere tutto. Ma un conto è avere attenzione per il popolo, un conto per il populismo. Un conto è avere sensibilità per i poveri, un conto è il pauperismo». Si può anche osservare come, soprattutto alla fine del suo mandato, la sua figura più che quella di un Avvocato del Popolo sia stata quella di un Segretario Comunale d’Italia. Casula ci pensa un attimo, poi sembra innamorarsi anche lui di questa immagine. «È vero. Il segretario comunale è quello che alla fine, dopo l’elezione del sindaco, conclusa la campagna elettorale e le sue promesse mirabolanti, ricorda alla nuova amministrazione quelle che sono le leggi, i regolamenti applicativi e quelle che sono le disponibilità finanziarie del Comune, e quindi si passa all’amministrazione possibilmente più corretta ed efficiente».
Tratto dal libro
L’avvocato e il banchiere
di Maurizio Stefanini e Sergio Luciano

Maurizio Stefanini
Romano, classe 1961, maturità classica, laurea in Scienze Politiche alla Luiss, giornalista dal 1988. Specialista in America Latina, Terzo Mondo, movimenti politici comparati, approfondimenti storici.
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