Nel momento in cui le due Coree sperimentano la delicata strada della détente (distensione politica) a Vancouver è andato in scena il cast completo delle potenze vincitrici della guerra che ha insanguinato la penisola tra il 1950 e il 1953. Su quel palcoscenico internazionale, allestito in gran parte dagli Stati Uniti, mancavano due attori fondamentali per la soluzione della crisi: la Cina e la Russia. Non solo, il grande assente ai colloqui nella città canadese era la delegazione nordcoreana. Un summit, dunque, sulla Corea del Nord senza la Corea del Nord.
Lo scopo del vertice di Vancouver del 15-16 gennaio era stringere il cappio al collo di Pyongyang, trovare accordi su nuove sanzioni e assicurare l’applicazione delle misure approvate dall’ONU, dirette a limitare l’approvvigionamento del regime nordcoreano di prodotti derivati dal petrolio, greggio e altri beni industriali, per spingerlo ad abbandonare il suo programma nucleare.
I ministri degli Esteri di 20 Paesi, quegli stessi Stati che nel 1950 appoggiarono la coalizione guidata dagli USA e mobilitata al fianco delle truppe di Seoul, hanno anche discusso di come aumentare le pressioni diplomatiche e fiscali sulla Corea del Nord per bloccare lo sviluppo di missili balistici capaci di colpire il territorio degli Stati Uniti. L’intenzione di Rex Tillerson, segretario di Stato USA, ha spiegato a Reuters Brian Hook, capo del policy planning del Dipartimento di Stato, era inoltre rafforzare il sistema di sicurezza marittima intorno alle coste nordcoreane per impedire alle navi cariche di prodotti illegali di scaricare nei porti del Paese.
Il vertice arriva proprio quando le due Coree, interrotto il silenzio che le divideva da due anni, sembrano intenzionate a “rompere il ghiaccio” grazie alla partecipazione degli atleti nordcoreani alle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang. I falchi dell’Amministrazione Trump, riferisce ancora Reuters, non nascondono il loro scetticismo sulle possibilità che le due Coree arrivino a qualcosa di concreto.
Un editoriale del giornale cinese Global Times, vicino a Pechino, non è andato tanto per il sottile quando ha definito l’incontro di Vancouver la dimostrazione del desiderio degli USA di rivendicare il ruolo di primo piano nella soluzione della crisi coreana, tagliando fuori Cina e Russia. Pechino e Mosca, confinanti con la Corea del Nord e membri fondamentali dei “colloqui a sei” – i negoziati che comunque hanno contribuito a garantire una certa stabilità alla regione – non hanno partecipato al vertice canadese, privandolo di significato. La Cina è il primo partner commerciale della Corea del Nord, mentre la Russia ha da tempo in cantiere progetti economici e infrastrutturali che allevierebbero la condizione di miseria in cui vivono i nordcoreani e che favorirebbero la cooperazione tra i due Stati divisi lungo la linea del 38esimo parallelo.
L’ondivaga strategia degli USA
La comunità internazionale, scrive il Washington Post, si sente frastornata dai due approcci alla crisi messi in campo dagli americani. Da un lato, l’opzione militare sulla quale Tillerson non ha fornito sufficienti rassicurazioni; dall’altro, la linea di coloro che propendono per l’uso dei canali diplomatici. L’azione americana, ha spiegato un funzionario del Dipartimento di Stato rimasto anonimo, mostra «l’intenzione di integrare gli sforzi diplomatici con la carta dell’opzione militare sempre sul tavolo. Ma la soluzione diplomatica è la prima in ordine di importanza per il Segretario alla Difesa Mattis».
Al summit di Vancouver gli USA hanno confermato il rifiuto dell’approccio “freeze for freeze”, o anche detto della “doppia sospensione”. L’approccio prevede che la Corea del Nord sospenda i test balistici e nucleari nordcoreani in cambio della fine delle esercitazioni militari congiunte tra americani e sudcoreani. La doppia sospensione, secondo Tillerson, pone erroneamente sullo stesso piano le manovre militari tra Seoul e Washington al largo della penisola e le azioni illegittime del dittatore nordcoreano Kim Jong-Un. «Le pressioni – ha aggiunto il segretario di Stato USA – continueranno finché la Corea del Nord non compirà passi decisivi a favore della denuclearizzazione».
Pyongyang ha diritto a possedere l’arma nucleare?
Dunque, l’abbandono del programma missilistico e nucleare da parte dei nordcoreani è il presupposto per qualsiasi ammorbidimento da parte americana. Sono tuttavia diversi gli analisti che non appoggiano questa strategia. Alla Corea del Nord, spiega un articolo firmato da Christopher Black e Graeme MacQueen e pubblicato sul quotidiano canadese The Toronto Star, andrebbe riconosciuto il diritto a preoccuparsi per la propria sicurezza. Andrebbe compreso che il desiderio di Pyongyang di possedere l’arma nucleare quale potere deterrente nei confronti di quelle nazioni che vogliono la caduta del suo regime deriva proprio da questi timori. Non bisogna dimenticare che i nordcoreani hanno subito una guerra devastante, che per più di 65 anni hanno continuato a resistere alle minacce degli Stati Uniti e che oggi la divisione della penisola costituisce l’ultimo baluardo della Guerra Fredda.
Un punto da cui partire per costruire un serio processo di pace, prosegue l’articolo, è riconoscere il giovane Kim quale leader razionale e capace di prendere parte ai negoziati. In teoria, quella prospettata dal giornale canadese sarebbe una road map ineccepibile. Resta però un problema a monte di questo percorso diplomatico: come rapportarsi, nel concreto, con una figura totalmente imprevedibile come il dittatore nordcoreano? Finora, a parte Pechino e in minor misura Mosca, nessun altro ci è riuscito.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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