Coronavirus Italia, perché è tardi per il modello Corea

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in, uscito quasi vincitore dalla guerra al nuovo coronavirus, è intenzionaato a condividere con gli agli altri paesi del G20 il segreto del successo del modello sperimentato da Seoul per contenere la diffusione del virus. Giovedì 26 marzo Moon ha partecipato a una videoconferenza insieme ai leader mondiali dei 20 paesi più industrializzati del mondo per istruirli sul modello sudcoreano, che si è rivelato efficiente contro il nuovo coronavirus. In agenda gli sforzi congiunti e la cooperazione internazionale in ambito sanitario e le misure per minimizzare il costo economico della pandemia, ha riferito un portavoce del governo sudcoreano. La Corea del Sud viene spesso citata come buon esempio e come modello da seguire anche all’estero. Ma sorge una domanda: il modello sudcoreano è davvero replicabile, in particolare in Italia?

Le parole d’ordine del modello coreano sono trasparenza e tecnologia. Sin dal primo momento, quando in Corea del Sud è stato registrato il primo caso di infezione da Covid-19, le autorità sanitarie hanno collaborato con il governo per documentare gli spostamenti delle persone infette. Questo approccio è stato reso possibile grazie a strumenti come sms e app sul cellurare che informavano in tempo reale gli utenti sui luoghi da evitare. Le autorità sudcoreane hanno analizzato e cercato, non solo le testimonianze dirette, ma anche i filmati delle videocamere a circuito chiuso e i GPS degli smartphone, con l’obiettivo di ricostruire i percorsi dei pazienti. Gli utenti delle app sono così venuti a conoscenza di tutti gli spostamenti delle persone infette, dove erano state e come ci erano arrivate. In questo modo, chi pensava di essere stato esposto al contagio veniva messo subito in quarantena o contattava il medico e qualora avesso mostrato sintomi veniva sottoposto al tampone. Naturalmente, gli strumenti digitali sono solo un elemento della strategia della Corea del Sud, che rispetto agli europei ha avuto il vantaggio di basarsi sulle esperienze precedenti della MERS e della Sars. Oltre ai tamponi su larga scala e mirati, dall’esperienza passata la Corea del Sud ha imparato a tenere sotto stretto controllo i sanirari. Un’altra differenza rispetto all’Italia è la scelta di Seoul di mettere in lockdown solo le zone più colpite dalla malattia e non l’intero territorio nazionale.

La Corea ha tanto da insegnare agli altri, ma sarebbe tardi applicare ora in Italia il modello sudcoreano per il tracciamento degli infetti perché nel nostro paese sono già diversi giorni che ai cittadini sono state imposte misure restrittive, prima tra tutte il divieto a uscire di casa. Dello stesso parere sembra essere Enrico Bucci, professore di Biologia presso la Temple University di Philadelphia. «Seguendo in toto la strategia della Corea del Sud, cioè usando anche strumenti invasivi della privacy personale, si riesce a tracciare per tempo i focolai epidemici», ha affermato Bucci ad adnkronos. «Sempre che, naturalmente, nella zona campionata ci si trovi nella fase iniziale di un’epidemia (quando cioè si possa appunto parlare di focolai epidemici e non di epidemia diffusa)», ha tenuto a precisare il professore. Adottare il modello coreano potrebbe dunque avere senso qualora, tornando lentamente alla normalità, il governo italiano volesse evitare una seconda ondata di contagi o i cosidetti casi “di ritorno”. Proprio per scongiurare questa eventualità Seoul ha previsto che tutti gli stranieri in entrata nel paese scarichino le app sul proprio cellulare per fornire informazioni sul proprio stato di salute.

La questione dei diritti è un altro argomento da considerare. L’approccio sudcoreano lede chiaramente la privacy. Anche altri governi, come quello israeliano e quello di Singapore, hanno privilegiato strategie lesive dei diritti degli individui pur di arrestare l’epidemia. Lecito chiedersi se questo potere dei governi e tale sospensione del diritto alla privacy siano limitati o se prevarranno anche ad emergenza finita. Su questo punto si è espressa l’ong Human Rights Watch, la quale ha avvertito che la sospensione di tali diritti deve essere solo temporanea, non discriminatoria e giustificata dall’emergenza e dalle prove scientifiche.

PHOTO: REUTERS/HEO RAN, Apps let users in South Korea see where Covid-19 patients have been.

Pubblicato su Il Mattino