Il Pakistan ha eletto il suo nuovo Primo Ministro in un clima di accuse reciproche e sospetti di brogli elettorali. Il vincitore è il leader del PTI, Partito per la Giustizia, Imran Khan, conosciuto soprattutto per i suoi successi sportivi. Oggi è alla guida di un Paese complicato, ma di primaria importanza per i futuri sviluppi dell’intera regione asiatica.

UNA VITTORIA CONTESTATA

«Grazie a Dio abbiamo vinto e ricevuto il mandato»: queste le prime parole pronunciate da Imran Khan dopo aver vinto le recenti elezioni in Pakistan, segnate da accuse politiche e sanguinosi attacchi terroristici. Nelle precedenti elezioni del 2013, che videro la vittoria della Lega Musulmana di Nawaz Sharif, si scorgevano i primi segni di un cambiamento politico che ha preso forma cinque anni più tardi con la crescita di consensi del PTI (Pakistan Tehreek-i-Insaf) e l’elezione a premier del suo leader Imran Khan. È fuori di dubbio che l’ex capitano della Nazionale di cricket sia un fuoriclasse, dotato di un forte carisma e un’innata leadership che gli ha permesso, nel 1992, di portare la sua squadra alla prima e unica vittoria ai Campionati del mondo. Il Kaptaan, soprannome con cui viene ricordato da milioni di tifosi di cricket, si trova oggi a dover affrontare la sua sfida più difficile. All’indomani della sua elezione deve innanzitutto mettere a tacere le accuse su possibili frodi elettorali. Il segretario della Commissione elettorale pakistana, Babar Y. F. Muhammad, ha ammesso il fallimento del sistema di trasmissione dei dati, mentre Nawaz Sharif, condannato all’interdizione dai pubblici uffici e attualmente in carcere insieme a sua figlia Maryam per gli scandali finanziari dei Panama Papers, ha parlato apertamente di risultati sporchi e truccati. All’ombra di queste polemiche c’è la pesante accusa di una decisiva influenza dei vertici militari sulla vittoria di Khan. L’imponente schieramento di circa 371mila uomini delle forze militari e di sicurezza, che hanno letteralmente blindato i seggi elettorali di tutto il Paese − il doppio rispetto alle precedenti elezioni, − il ritardo dello spoglio dei voti e il blocco elettronico di molti seggi hanno contribuito ad alimentare tali sospetti.

 IL MANIFESTO DEL PTI E GLI ALBORI DI UN NUOVO PAKISTAN

«Voglio spiegare perché sono entrato in politica. Desidero che il Pakistan diventi il Paese che Muhammad Ali Jinnah (padre fondatore del Pakistan) aveva sognato e creare uno Stato come quello di Medina, dove ci si prendeva cura delle vedove e dei poveri», così ha dichiarato il neo-premier al popolo pakistano. Ma una volta spenti i riflettori sulla campagna elettorale Khan dovrà innanzitutto risolvere la questione della governabilità e dare vita a una coalizione che non si preannuncia semplice: il Partito della Lega Musulmana (PML-N) ha conquistato la maggioranza dei seggi nel Punjab, la provincia più popolosa e potente del Pakistan, mentre Karachi, capitale del Sindh e cuore finanziario del Paese, è nelle mani del Partito del Popolo (PPP), il cui leader è Bilawal Bhutto. La «strada per un nuovo Pakistan» (Naya Pakistan), slogan del manifesto del PTI, si pone come obiettivi chiave innanzitutto la lotta alla corruzione, la giustizia e la battaglia contro le ineguaglianze sociali, oltre alla creazione di 10 milioni di posti di lavoro e di 5 milioni di nuove unità abitative. Tra le questioni più spinose c’è l’economia, che necessita al più presto dell’introduzione di riforme che risanino le casse dello Stato per arginare il deficit fiscale.
Il terrorismo e l’estremismo religioso sono poi tra i problemi più urgenti dell’agenda politica di Islamabad, che riguardano non solo il Pakistan, ma anche e soprattutto il vicino Afghanistan. Considerando che il Pakistan è un Paese la cui storia, fin dalle origini (1947), è stata segnata da guerre, colpi di Stato e terrorismo, la sfida politica di Khan, che deve ora trasformare le promesse elettorali in un programma politico, sembra essere ai limiti del possibile.

L’AGENDA INTERNAZIONALE

Difficile prevedere quali saranno i futuri rapporti tra Imran Khan e Donald Trump, entrambi carismatici e poco avvezzi alla diplomazia. È noto ormai da tempo l’allontanamento di Washington da Islamabad che si è tradotto in un taglio di aiuti da parte degli USA di circa 1 miliardo di dollari. Poche settimane fa, ad aggravare la situazione,  il Financial Action Task Force (organismo che combatte il finanziamento del terrorismo) ha inserito il Pakistan in una “lista grigia” per il suo scarso impegno nel contrastare l’estremismo islamico. La Casa Bianca non può poi ignorare che l’attuale Primo Ministro è conosciuto anche con il soprannome di “Taliban Khan” per le sue campagne anti-droni e contro la presenza statunitense in Afghanistan. Nel novembre 2014, quando la comunità internazionale era in procinto di ritirarsi dall’Afghanistan, i sostenitori del partito di Khan, che all’epoca governava nella provincia nordoccidentale del Paese, bloccarono illegalmente i convogli della coalizione che transitavano lungo il Khyber Pass, per impedirne il passaggio. Khan ha inoltre accusato i precedenti leader pakistani di avere venduto l’orgoglio del Paese in cambio dei dollari statunitensi, dichiarando, all’indomani della sua elezione, che auspica un rapporto di parità con gli USA e non più unilaterale, come lo è stato fino a oggi. Riguardo ai rapporti con l’India, da sempre ingombrante “vicino” del Pakistan, Khan dovrà ora creare un reciproco rapporto di fiducia, cosa non facile vista la disputa nel Kashmir che dura da 70 anni e che ha provocato migliaia di morti. New Delhi ha osservato molto attentamente gli sviluppi di questa campagna elettorale e, secondo i sondaggi dell’Indian Express, molti indiani speravano nella vittoria del PML-N, che in questi 4 anni di Governo aveva intrapreso la strada del dialogo. In India si voterà tra 10 mesi e di conseguenza i futuri rapporti tra i due Paesi non sono al momento prevedibili. Rimane invece la certezza del forte legame militare e economico con la Cina, con cui è in corso il colossale progetto del CPEC  (China –Pakistan Economic Corridor).

OMBRE E LUCI DELLA POLITICA DI KHAN

Imran Khan si ritrova oggi al Governo di un Paese in cui il caos politico, la corruzione e l’estremismo islamico hanno segnato profondamente la crescita economica e sociale. Nonostante il leader del PTI sia amato dalla fascia più giovane e colta del Paese, sono molte le ombre e le questioni che gli analisti politici sollevano e alle quali non è facile dare risposte, a cominciare dai legami di Khan con i vertici militari, che difficilmente lo lasceranno libero di scegliere su temi come la difesa e la sicurezza. Ciò avrà rilevanti conseguenze sia sulle prossime decisioni della Casa Bianca, sia sul futuro dell’Afghanistan. Per quanto riguarda il suo programma sulla giustizia, lascia molti dubbi la promessa di mantenere la legge sulla blasfemia, che comporta una condanna a morte automatica e di discutibile legalità. Khan ha inoltre espresso il suo orgoglio per le tradizioni pasthun che violano i diritti delle donne, difendendo un modello culturale fortemente patriarcale. Anche la sua vita privata, che dovrebbe rimanere al di fuori della sfera politica, ha fatto discutere sia la stampa estera, sia quella nazionale: dalla frequentazione del jet set internazionale, all’ultimo matrimonio (il terzo) con Bushra Maneka, studiosa e guida spirituale sufi. Bushra, che appare al fianco di Imran Khan velata, ha così commentato la vittoria del marito: «Allah onnipotente ha dato alla nazione un leader che si prende cura dei diritti della gente». Da quel lontano 1992 in cui il capitano della nazionale alzò la Coppa mondiale sono passati molti anni e la personalità poliedrica di Khan ha riservato infinite sorprese al popolo pakistano. Dopo la sua nomina a Primo Ministro il mondo intero guarda, con un misto di stupore e sospetto, la vittoria in campo politico del leggendario Kaptaan.

 

Barbara Gallo