L’ISIS ha rivendicato l’attacco del 18 febbraio a una chiesa ortodossa a Kizlyar, nella Repubblica russa del Daghestan, regione prevalentemente musulmana. «Un soldato dell’Islam, Khalil Daghestani, ha attaccato una chiesa nella città di Kizlyar», recita la rivendicazione diffusa dall’agenzia di stampa ufficiale del Califfato Amaq e circolata nella rete jihadista tramite Telegram. Il bilancio è stato di cinque donne uccise, mentre l’attentatore è stato eliminato dalla polizia. La questione della presenza di jihadisti nel Daghestan resta dunque ancora aperta e quest’ultimo attentato ha risvegliato le preoccupazioni delle autorità russe.
L’Emirato del Caucaso
L’instabilità politica del Daghestan durante tutto il periodo post-sovietico è coincisa con l’ascesa dell’islamismo nel Caucaso nord-orientale e con la radicalizzazione di molte comunità musulmane nella regione, specie dopo le due guerre cecene (1994-1996/1999-2009).
Per anni la figura di riferimento dell’estremismo islamico in tutta quest’area del Caucaso è stata quella di Shamil Basayev. Dopo lo sterminio della sua famiglia, causato da una bomba sganciata da un aereo russo sulla sua abitazione il 3 giugno del 1995, Basayev ha abbracciato la causa del terrorismo islamico. Ha prima arabizzato il suo nome in Amir Abdallah Shamil Abu-Idrisil, poi ha iniziato a farsi promotore dell’islamismo radicale. Al termine della prima guerra cecena ha scritto un testo di propaganda, il Libro di un Mujahideen. Poi, nel 1998, è passato dalla teoria all’azione fondando la Brigata Islamica Internazionale, ottenendo la “benedizione” di Al Qaeda.
Con la morte nel 2006 di Basayev, le redini del terrorismo di matrice islamica nel Caucaso settentrionale sono passate nelle mani del militante Dokka Umarov. Proclamatosi nel 2007 emiro di tutti i mujaheddin del Caucaso, Umarov ha suddiviso i territori sotto il suo controllo in sei province, dette “Wilayats”. Soprannominato anche il “Bin Laden della Russia”, ha organizzato diversi attentati, tra cui la strage alla metropolitana di Mosca del 29 marzo 2010 e l’attentato all’aeroporto di Mosca “Domododevo”, avvenuto il 24 gennaio 2011.
Shamil Basaev e Dokka Umarov, entrambi alla guida della prima rivolta per la liberazione e per l’indipendenza della Cecenia dalla Russia, hanno avuto legami con Al Qaeda e sono stati i primi militanti a favore dell’instaurazione di una teocrazia islamica nel Caucaso settentrionale. Dopo la morte di Dokka Umarov nel 2013, nel giugno del 2015 l’Emirato del Caucaso si è affiliato allo Stato Islamico assumendo la denominazione di “Wilayat Qawqaz”, la prima “provincia” rivendicata da ISIS in territorio russo.
Le differenti correnti dell’Islam in Daghestan
La popolazione daghestana conta due milioni e mezzo di abitanti. Al suo interno vi sono circa venti etnie differenti. Diversi studi sottolineano che l’Islam nel Daghestan sia influenzato da una divisione interna tra i tradizionalisti, i quali seguono i principi del sufismo, e coloro i quali seguono invece il wahhabismo, visione radicale dell’Islam sunnita, diffusasi particolarmente in questa regione dopo lo scioglimento dell’URSS. Molti seguaci di quest’ultima corrente sono strettamente legati alle organizzazioni islamiste che, nell’area, si oppongono sia al governo russo sia alle organizzazioni ufficiali musulmane nel tentativo di imporre la sharia e di concretizzare il sogno di uno Stato islamico nel Caucaso settentrionale.
Ciò a cui si è assistito negli ultimi decenni è stato in pratica uno scontro tra l’Islam tradizionale, che ha dimostrato di essere compatibile con la cultura post-sovietica, e l’Islam radicale, che ha invece rifiutato di accettare l’adozione di costumi secolari nella vita sociale. È in questa distanza tra le due visioni dell’Islam che ha messo radici tra i radicali il concetto di “ghazawat”, il cui significato letterale è “incursione”. Si tratta del richiamo alla tradizione di resistenza dei popoli caucasici di fronte all’invasore russo. Una resistenza che, negli ultimi anni, ha però mutato il suo volto in un movimento che oggi promuove l’espansione del jihad islamico, ossia la “guerra santa” contro gli infedeli.
In villaggi come Karamakhi, Chabanmaki, e Kadar, già alla fine degli anni Novanta, erano sorti i primi focolai wahaabiti. All’epoca furono diversi gli imam che attirarono soprattutto i giovani offrendo loro denaro e lavoro e chiedendo in cambio la conversione a una interpretazione radicale dell’Islam. I problemi sociali ed economici della regione, la povertà endemica, l’altissima disoccupazione e la corruzione, hanno permesso poi al jihadismo di attecchire.
Possibili nuovi sviluppi
Con la morte dell’ultimo leader dell’Emirato del Caucaso Zalim Borisovich Shebzukhov, deceduto nel luglio del 2016, l’organizzazione ha attraversato una lunga fase di incertezza, interrotta improvvisamente dall’attentato del 19 febbraio scorso. Con la dissoluzione territoriale del Califfato in Siria e Iraq, il Caucaso settentrionale potrebbe presto assumere un nuovo ruolo strategico per l’organizzazione di Abu Bakr Al Baghdadi. Perché ciò avvenga ai jihadisti del Daghestan servirà un nuovo carismatico leader, come non se ne vedono dai tempi di Dokka Umarov.
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