Dal Cairo a Budapest, i valori smarriti d’Europa

Nel blog precedente dedicato a Giulio Regeni e Patrik Zaki, alla visita di Abdel Fattah al-Sisi a Parigi e alla Legion d’Onore attribuitagli da Emmanuel Macron, mi ero chiesto quanto l’Europa fosse certa dei suoi valori. Quale equilibrio la Ue potesse trovare tra l’affermazione dell’etica, fondamento dell’unione politica, e la protezione della sua economia, ugualmente essenziale.

Anziché chiarirsi, la questione si aggrava.

Come è noto, fissando il bilancio da mille e 800 miliardi che comprende i 750 del recovery fund, la Ue aveva deciso che l’erogazione delle risorse doveva essere legata al rispetto dello stato di diritto in ogni paese beneficiario. Non si trattava di una curiosa novità ma della riaffermazione di un principio al quale dovevano aderire tutti i paesi che chiedevano l’ingresso nell’Unione: soprattutto quelli dell’Est, usciti dal comunismo sovietico. Quel principio ricordava a tutti i candidati che dai tempi della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, questa è un’associazione fra paesi democratici.

Ricordarlo non era singolare, visto i nuovi sovranismi e le spinte verso una destra radicale in diversi paesi dell’Est. Infatti Ungheria e Polonia, l’avanguardia di questa nouvelle vague, si sono opposte al lodo democratico, rifiutando di approvare il bilancio e congelando il tanto atteso recovery fund. Come presidente di turno dell’Unione, ha negoziato la Germania e Angela Merkel ha costruito il compromesso che i due illiberali dell’Est hanno accettato.

Lo hanno chiamato “Dichiarazione interpretativa”. Lo avessero chiesto a me, avrei proposto “Democrazia on demand”. In sostanza Polonia e Ungheria potranno rispettare lo stato di diritto fra un anno, al prossimo bilancio. Se non lo faranno, la Corte Europea di giustizia esaminerà il caso e per arrivare al giudizio finale passerà altro tempo, non meno di un altro anno: cioè nel 2022, dopo le elezioni ungheresi.

Il premier ungherese Victòr Orban, il collega polacco Mateusz Moraviecki e i loro partiti di estrema destra al potere, avranno tutto il tempo per finire di modificare Costituzione e regole del gioco nei loro paesi. Se e quando saranno costretti dalla Corte a rispondere delle loro violazioni, avranno già in tasca i soldi dell’Europa e realizzato il loro fascismo del XXI secolo: diversamente dal precedente non ha bisogno di divise, passo dell’oca e olio di ricino. Della “Dichiarazione interpretativa” della Merkel saranno probabilmente soddisfatte anche le case automobilistiche tedesche che hanno importanti centri di produzione a Est.

Orban che ha già modificato nove volte la Costituzione, non ha perso tempo. Esentato dalla noia dei diritti civili, il Parlamento di Budapest ha approvato un pacchetto di leggi liberticide. Dalla limitazione dei diritti delle coppie gay, alla ridefinizione di “fondi pubblici” per impedire ogni controllo sulla loro destinazione, all’impossibilità delle opposizioni di formare un fronte comune contro Fidesz. I sondaggi prevedono che se questo fronte esistesse alle elezioni del 2022, vincerebbe di quattro punti sul partito di governo.

Con qualche cautela, vien quasi spontaneo paragonare questa capitolazione dei valori europei al Patto di Monaco del 1938, quando inglesi e francesi permisero a Hitler di annettere i paesi dell’Europa orientale.

Pubblicato sul blog di Ugo Tramballi de Il Sole24Ore. Continua a leggere qui