Netanyahu

Il premier israeliano Netanyahu ha detto che Israele sabato ha bombardato un deposito di missili di precisione controllato dai Pasdaran, le guardie rivoluzionarie iraniane, in Siria, vicino a Damasco. Secondo lo Stato ebraico, l’attacco sarebbe avvenuto per prevenirne uno che l’Iran stava preparando per colpire il nord di Israele. L’esercito ha confermato l’operazione. Ma la novità è che l’operazione è stata annunciata anche da Netanyahu, che fino a questo momento di rado aveva confermato degli attacchi in Siria. Allo stesso tempo, Hezbollah, il partito-milizia sciita libanese, ha annunciato di aver abbattuto uno o due droni israeliani nei pressi di Beirut.

C’era una consuetudine nelle operazioni militari israeliane in Siria: non negare né confermare. Eventualmente negare, blandamente. Questa volta invece è stato Bibi Netanyahu, il premier, ad annunciare che nella notte fra sabato e domenica l’aviazione israeliana ha bombardato vicino a Damasco un deposito di missili di precisione. Era controllato dai Pasdaran, le guardie rivoluzionarie iraniane.

Nella stessa notte Hezbollah, il partito-milizia sciita libanese, ha annunciato di aver abbattuto uno o due droni israeliani. Uno dei due sarebbe caduto nella periferia Sud di Beirut abitata dagli sciiti e controllata da Hezbollah: in quel quartiere non entrano nemmeno esercito o polizia libanesi, a meno che soldati e agenti non siano affiliati a Hezbollah. Il movimento libanese è stretto alleato del regime siriano di Bashar Assad e la sopravvivenza di entrambi dipende dall’Iran. È l’asse sciita del Levante, la cui esistenza militare dipende principalmente dalla salvezza di Assad e dalla lotta a Israele.

«L’Iran non gode di immunità in nessuna parte», del Medio Oriente, dice Bibi Netanyahu. Gli avvenimenti della notte scorsa e l’inaspettata conferma del premier, qui a Gerusalemme, sono parte del lungo conflitto fra Israele e Iran. Da più di due anni se ne annuncia l’inizio imminente, e l’esplosione della vera grande guerra mediorientale. In realtà la guerra è già iniziata: quasi quotidianamente gli israeliani colpiscono gli interessi militari iraniani in Siria: con i droni, con l’aviazione e, da terra, anche con le forze speciali. «Uccidiamo iraniani ogni giorno», aveva detto un mese fa un ministro israeliano che partecipa alle riunioni del gabinetto ristretto di sicurezza.

Gli avvenimenti di ieri sono il segno di una progressiva escalation di questa guerra fino ad ora condotta a bassa intensità. Secondo Netanyahu, gli aerei israeliani hanno colpito alcuni droni iraniani che stavano per bombardare la Galilea e altri obiettivi nel Nord del Paese.

Tutto questo ha un precedente ancora più pericoloso. Probabilmente gli iraniani volevano vendicare i recenti attacchi israeliani su alcune loro basi in Iraq. Perché, come ha detto Netanyahu a proposito d’immunità, Israele ha pericolosamente allargato il suo campo di battaglia con Teheran. Il primo bombardamento a Nord di Bagdad sui depositi di armi delle milizie sciite pro-iraniane, sarebbe avvenuto il 19 luglio. Le operazioni si sarebbero ripetute in questo mese.

In questo caso gli israeliani sono tornati al loro tradizionale negazionismo. Sono state fonti del Pentagono a passare l’informazione al New York Times. L’amministrazione Usa ha reagito con grande fastidio all’attivismo israeliano “fuori dai limiti” delle loro attività consentite. Come accade spesso, Israele ha agito senza informare preventivamente il suo più importante alleato. Il problema è che gli iracheni né gli iraniani credono che gli israeliani abbiano agito senza le informazioni e l’aiuto logistico americano.

Nella difficile situazione irachena, le milizie sciite filo-iraniane e gli stessi Pasdaran sono alleati degli Usa nella lotta all’Isis; ma nemici nel confronto tra amministrazione Trump, Teheran e Gerusalemme. Lo stesso governo di Bagdad è in una difficile situazione: ha una relazione diretta e decisiva con gli Stati Uniti ma deve tenere conto che la maggioranza sciita del Paese subisce l’influenza iraniana. Nelle sabbie mediorientali nessuna linea è mai stata retta. Oltre gli arsenali delle milizie, Israele sta bombardando anche questi fragili equilibri.

Nemmeno la diplomazia russa fino ad ora è riuscita a far decantare la tensione. Vladimir Putin ha una relazione personale con Netanyahu, è il garante militare e politico della sopravvivenza del regime siriano ed è un alleato dell’Iran. Ma come inglesi e francesi, e poi gli americani prima di loro, anche per i russi è difficile mediare, imponendo soluzioni e salvando inconciliabili amicizie.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu attends the weekly cabinet meeting at his office in Jerusalem, Israel, Sunday, May 5, 2019. (Abir Sultan/Pool Photo via AP)

Pubblicato su Il Sole 24 Ore