Il conflitto russo-ucraino ha aperto un nuovo fronte nello spazio post sovietico a tal punto da modificare ulteriormente, dopo oltre vent’anni dalla caduta dell’Urss, la geografia politica dell’Ucraina, il «Paese sul confine»

di EMILIO PIETRO DE FEO

Dal 1991 a oggi si sono verificati da est, sud e ovest di Mosca diversi sommovimenti: dall’Asia centrale – con la rivoluzione dei tulipani in Kyrghizstan nel 2005 e il presunto colpo di Stato in Kazakistan a inizio 2022 – al Caucaso – con il conflitto russo-georgiano e la conseguente dichiarazione d’indipendenza delle Repubbliche di Abcasia e Ossezia del Sud nel 2008 – fino al bassopiano sarmatico – con il tentativo di golpe in Bielorussia nel 2021, l’annessione della Crimea alla Russia e l’autoproclamazione d’indipendenza delle Repubbliche di Lugansk e Donetsk. Si è così generata dalla fine della Guerra fredda una nuova cortina di ferro non dichiarata, frammentata, con confini instabili e tensioni pronte a riemergere con lo «scioglimento dei ghiacci» dell’Urss da una direttiva all’altra.

Donbass, dagli zar alla cosacchizzazione

Risulta di difficile comprensione una realtà come quella rappresentata dalla regione del Donbass, ovvero il bacino del Donetsk, in cui si fronteggiano da oltre otto anni ucraini e separatisti filo-russi, se non ripercorrendo la storia di questa area al confine con la Russia.

Nell’oblast di Donetsk notevole importanza assunse in passato la città di Sloviansk, la «città del sale», fondata nel 1676 dallo zar in funzione anti-tatara. Il vicino Khanato di Crimea, infatti, rappresentava un avamposto ottomano importante per il controllo del Mar Nero, passando per il mare d‘Azov. Da quel momento per gli zar la regione assunse una certa importanza strategica, corroborata dalla conquista del khanato di Crimea a opera di Caterina II. Per oltre trecento anni la penisola fu uno Stato vassallo dell’Impero Ottomano. La guerra russo-turca che portò all’annessione nell’Impero russo nel 1783 fu scatenata da un’incursione cosacca all’interno del khanato. La storia dei cosacchi risulta di primaria importanza per comprendere la costituzione psicologica delle genti che hanno vissuto e vivono nel Donbass.

Dal 1991 a oggi si sono verificati da est, sud e ovest di Mosca diversi sommovimenti: dall’Asia centrale al Caucaso fino al bassopiano sarmatico. Si è così generata una nuova cortina di ferro non dichiarata, frammentata, con confini instabili e tensioni pronte a riemergere con lo «scioglimento dei ghiacci» dell’Urss

I cosacchi costituiscono all’interno della Russia una realtà presente fin dalle origini dell’Impero, dai tempi della Rus’ di Kiev, quando nacquero le prime comunità cosacche, una di queste proprio nel Don. I cosacchi sono tutto e il contrario di tutto: popolo nomade, poi stanziale europeo e asiatico al tempo stesso, ucraini e russi, ortodossi e islamici. Anima profonda della Russia e al tempo stesso gruppo a sé rispetto al resto del Paese. Nell’odierna ucraina questo popolo nomade e guerriero, nella forma e nello spirito, riuscì a edificare a metà Seicento un’entità statale: l’Etmanato cosacco, Stato vassallo dell’Impero Russo. Solo alla fine del XVII secolo gli zar riuscirono a inglobarli completamente nel tessuto sociale, trasformandoli in sudditi. Ebbero un ruolo di primo piano nelle guerre in cui fu impegnato lo zarato. Feroci furono i provvedimenti adottati dai sovietici, i quali deportarono dalla regione del Don i cosacchi, schieratisi dopo la Rivoluzione d’Ottobre in sostegno dello zarismo.

Con l’instaurazione dell’Unione Sovietica, il Donbass e il territorio vicino al bacino Krivoj Rog si resero indipendenti con la fondazione della Repubblica Sovietica del Doneck e di Krivoj Rog. Risale proprio allo stesso periodo della fugace esperienza della Repubblica sovietica di Donetsk la fondazione di un’altra repubblica a opera dei cosacchi: Repubblica del Don con capitale Novocerkassk, nell’oblast di Rostov, al confine con il Donbass. Due anni dopo la repubblica fu sciolta dai bolscevichi. Questi compirono un’opera di “decosacchizzazione” del Donbass. Ciò permise comunque ai sovietici di innalzare i propri miti: è proprio dal minatore del Donbass Aleksej Stachanov, elevato a «lavoratore modello» dal Partito Comunista sovietico, che deriva il termine stacanovista.

Donbass, dalla Rivoluzione industriale a Euromaidan

Dal punto di vista economico il Donbass rappresenta, dallo scaturire delle rivoluzioni industriali, un importante centro di estrazione mineraria e metallurgica. Fonte di ricchezza nazionale – non a caso luogo di nascita di Renat Akhmetov, tra gli uomini più ricchi d’Ucraina – il Donbass è la Ruhr dell’Europa orientale.

Nel 1991 oltre l’80% della popolazione del Donbass si espresse a favore dell’indipendenza dall’Ucraina, nonostante solo il 45% della popolazione della regione si fosse dichiarata di etnia russa, in un censimento del 1989. Dopo oltre trent’anni, con una guerra civile che ha incrementato il peggioramento delle condizioni socio-economiche, i moti separatisti sono riaffiorati. Tali moti, nei primi anni dell’Ucraina indipendente, trovavano già una loro manifestazione seppur più moderata, nel Movimento Internazionale del Donbass. Un estratto del programma del movimento, discioltosi nel 2003, racchiude in pieno l’essenza multiforme del Donbass:

«Il Donbass è stata sin dai tempi antichi la casa di decine di popoli. Il territorio di quello che oggi è il Donbass ha fatto parte del khanato dell’Orda d’oro, del khanato di Crimea, dell’Impero Russo, della Repubblica sovietica del Donets-Krivoy e dello Stato Ucraino. Il Donbass è il centro di una cultura multinazionale unica»

L’oligarchizzazione dell’economia del Donbass può essere letta come una conseguenza della privatizzazione selvaggia subita dai vicini russi nel corso degli anni ‘90.