Abdel Fattah Al Sisi si appresta a ottenere un secondo mandato alla guida dell’Egitto. Il prossimo 26 marzo gareggerà senza sfidanti per la rielezione a presidente considerato che l’unico contendente che poteva impensierirlo, vale a dire l’ex capo delle forze armate Sami Anan, è stato arrestato. Anan sarebbe stato fermato per aver falsificato alcuni documenti necessari per presentare la sua candidatura. Ma è più probabile credere che Al Sisi lo considerasse un avversario scomodo e che, per tale motivo, se ne sia sbarazzato.

Ci sono però altri militari che possono ancora ostacolare l’ascesa del presidente. Si tratta di ufficiali di alto e medio livello che con la caduta di Hosni Mubarak nel 2011, e soprattutto dopo la destituzione di Mohammed Morsi nel 2013, hanno deciso di voltare le spalle allo Stato e abbracciare la causa di organizzazioni islamiste fuorilegge o di gruppi jihadisti.

 

Il profilo di Ansar Al Islam

Tra questi c’è Emad al-Din Abdel Hamid, ex comandante dell’esercito che il 20 ottobre scorso, alla guida di un commando formato da una dozzina di uomini armati, ha teso un’imboscata ad agenti della polizia e militari. Nell’attacco, poi rivendicato dal gruppo Ansar Al Islam, sarebbero morti oltre quindici membri delle forze di sicurezza egiziane, compresi anche alcuni ufficiali di alto rango. Secondo fonti dell’Apparato d’Informazioni Generali (Mukhabaràt), chi è entrato in azione sapeva come e quando colpire. Stando alla testimonianza di uno dei sopravvissuti all’agguato, Abdel Hamid avrebbe dato prova delle sue doti di tiratore. «L’ho visto colpire da lontano alla testa un ufficiale – ha dichiarato il testimone all’agenzia Reuters – nonostante questi fosse nascosto dietro un’auto».

Poche settimane dopo l’attacco Abdel Hamid è stato ucciso in un raid aereo dell’aviazione egiziana. Ma la sua morte non ha scoraggiato altri membri dell’esercito e della polizia a passare nelle fila di Ansar Al Islam. Nonostante sia meno appariscente sul piano mediatico rispetto ad altre formazioni terroristiche che operano in Egitto, a cominciare da ISIS nel Sinai (Wilayat Sinai), Ansar Al Islam ha già effettuato diversi attacchi nel Paese e, soprattutto, può fare leva su rapporti consolidati con Al Qaeda. Nel 2013 il gruppo è stato accusato di aver tentato di assassinare l’allora ministro dell’Interno egiziano Mohammed Ibrahim. Due anni dopo, nel 2015, si riteneva invece fosse dietro l’uccisione del procuratore generale Hisham Barakat, nonostante il suo omicidio fosse stato rivendicato da Moqawma al Shabia (Resistenza Pubblica), formazione vicina alla Fratellanza Musulmana.

Proprio sfruttando l’odio popolare generato dalla violenta repressione dei Fratelli Musulmani, Ansar Al Islam si è saputa rafforzare in modo rilevante negli ultimi anni. Tra i suoi membri compaiono infatti sostenitori della Fratellanza riusciti a scampare al carcere o ad esecuzioni sommarie, ma anche centinaia di agenti e ufficiali delle forze di sicurezza che hanno perso il posto di lavoro per le loro affiliazioni politiche o religiose o per essersi rifiutati di arrestare manifestanti anti-governativi in una delle tante proteste di piazza che sono seguite al golpe dell’estate del 2013.

 

Cosa rischia Al Sisi

Secondo fonti dei servizi segreti egiziani, allo stato attuale Ansar Al Islam rappresenterebbe addirittura per il governo di Al Sisi una minaccia maggiore rispetto allo Stato Islamico. I motivi di tale profonda preoccupazione sono principalmente tre. Essendo direttamente collegata a ciò che resta della Fratellanza Musulmana, Ansar Al Islam può godere, come detto, di un forte consenso popolare. Inoltre, potendo contare sul supporto di ex ufficiali, soldati e agenti della polizia, dispone di una vera e propria forza militare e di uomini competenti e d’esperienza che sanno come attaccare all’improvviso o rispondere a un’offensiva delle forze regolari. Infine, Ansar Al Islam può far leva sulle tensioni che covano da tempo ai vertici dell’esercito e dei servizi segreti del Cairo, frizioni emerse a galla in modo evidente con l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. «Sono più pericolosi dei miliziani del Sinai – ha dichiarato sempre alla Reuters un esponente dell’intelligence egiziana rimasto anonimo – Sono meno numerosi, ma hanno armi sofisticate e si concentrano solo su grandi operazioni». Quella del 20 ottobre scorso, oltre a causare diversi morti, ha costretto Al Sisi a effettuare una serie di cambi ai piani alti dell’esercito e del ministero degli Interni.

Dopo l’uccisione di Emad al-Din Abdel Hamid, le redini di Ansar Al Islam sono adesso nelle mani di Hisham al-Ashmawy, ex ufficiale delle forze speciali egiziane, uno degli uomini più ricercati del Paese. Ashmawy, al pari di Abdel Hamid, si è volatilizzato dopo la caduta di Mubarak optando per il Jihad e per la resistenza armata al governo di Al Sisi. Negli ultimi mesi ha arruolato almeno 30 tra ex capitani ed ex tenenti dell’esercito. Per scegliere gli uomini giusti si serve di una rete di ex funzionari dell’esercito ramificata in tutto l’Egitto che gli fornisce anche informazioni riservate su spostamenti e riposizionamenti delle unità militari.

La storia egiziana è sempre stata disseminata di punti di contatto tra le forze armate, l’Islam radicale e il Jihad. Nel 1981, fu un gruppo di ufficiali dell’esercito ad assassinare il presidente Anwar Sadat, “colpevole” di essersi avvicinato troppo a Israele. Mentre gli Stati Uniti sono convinti che dietro gli attacchi qaedisti alle ambasciate americane in Africa nel 1998 ci sia stato un ex colonnello dell’esercito egiziano, Seif al-Adel. Oggi in Egitto si sta assistendo a qualcosa del genere. Al Sisi può ritenersi ancora al sicuro. Ma farà bene a non sottovalutare i militari che hanno reagito alla repressione dei Fratelli Musulmani proclamando guerra a suo governo autoritario.