Le elezioni italiane del 4 marzo incombono. Il tema dei rapporti tra Italia e Unione Europea è rimasto sottotraccia nella campagna elettorale. Ma sarebbe un errore sottovalutare la sua importanza e la recente crescita dell’euroscetticismo nell’opinione pubblica italiana. La partita si giocherà soprattutto dopo il voto.

 

L’europeismo in Italia

Per decenni l’europeismo è stato un mantra indiscutibile della politica estera e del discorso pubblico italiani. L’Italia fu membro fondatore della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e della CEE (Comunità economica europea), antenati dell’Unione Europea. I partiti antieuropeisti (il Partito Comunista a sinistra e il Movimento Sociale a destra) furono prima emarginati e poi costretti a modificare progressivamente la propria posizione per poter entrare nel gioco politico. Ancora nel 1989 un referendum a margine delle elezioni (a dire la verità preso molto sottogamba dalla grande maggioranza degli italiani) espresse la volontà di attribuire maggiori poteri al Parlamento Europeo.

I primi segni dell’inizio di un mutamento “eurocritico” si ebbero a partire dagli anni ’90. Lo spostamento a destra dell’equilibrio politico italiano, l’emergere e il successo di movimenti antisistema (soprattutto nel centrodestra), il rallentamento dell’economia e i vincoli del Trattato di Maastricht contribuirono a diffondere in ampie fette dell’opinione pubblica dubbi sulle modalità di gestione del progetto di integrazione europea. Ma, almeno fino alla crisi finanziaria che a partire dal 2008 investì l’economia italiana e globale, l’europeismo degli italiani non era in discussione. La crisi dei debiti sovrani, culminata con la caduta del governo Berlusconi nel 2011, ebbe un effetto pesante per l’Italia. L’UE fu identificata con le drastiche (ma sostanzialmente inevitabili) misure prese dal governo di Mario Monti. Il risultato fu un’impennata dei sentimenti antieuropeisti nell’opinione pubblica, evidenziata anche dal successo elettorale del Movimento 5 Stelle nel 2013.

Il risultato è che oggi l’Italia è il Paese più euroscettico dell’Eurozona. I partiti antieuropeisti (Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia) sfiorano la maggioranza assoluta. Anche i partiti moderati faticano a professarsi europeisti. Complici le sconfitte degli antieuropeisti in tutta Europa e le dinamiche politiche interne agli schieramenti, il dibattito sull’Unione Europea non è stato al centro della campagna elettorale. Tuttavia, sarebbe un errore sottovalutare gli effetti che gli eventi ultimi anni hanno avuto sull’immagine dell’Unione Europea in Italia. Come minimo, la forza dell’antieuropeismo e dell’euroscetticismo sono un formidabile ostacolo a un maggior ruolo di Roma nella governance dell’Unione.

 

Il centrodestra

La coalizione di centrodestra, stando ai sondaggi, è l’unica che potrebbe emergere con una maggioranza dalle urne. La sua posizione sull’Unione Europea è un curioso mix tra un europeismo classico (ma datato e piuttosto ondivago), incarnato da Silvio Berlusconi e cementato dall’appartenenza di Forza Italia al Partito Popolare Europeo, e un forte euroscetticismo, sostenuto da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Questa spaccatura ai vertici riflette una divisione nell’elettorato della coalizione. L’euroscetticismo dell’opinione pubblica italiana ha infatti raggiunto una massa critica tale da rendere quasi impossibile al centrodestra non abbracciarne alcune parole d’ordine. Paradossalmente, tuttavia, il principale problema per l’Europa di un esecutivo di centrodestra, a meno di un improbabile sorpasso della Lega su Forza Italia, non viene tanto dalle posizioni sull’UE quanto dal programma di governo. Alcune proposte economiche della coalizione infatti rischierebbero, se realizzate, di sforare i parametri europei sulle finanze pubbliche. Questo, oltre alle contraddizioni di fondo dei sentimenti verso l’UE, rendono la coalizione di centrodestra un frutto avvelenato per Bruxelles. Un centrodestra vincente e con il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani a Palazzo Chigi riscuoterebbe comunque il consenso (informale, ma indispensabile) delle istituzioni comunitarie.

 

Il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle

Gli altri due principali schieramenti (centrosinistra e Movimento 5 Stelle) non hanno realistiche possibilità di governare da soli. L’unico modo attraverso cui potrebbero arrivare al governo è alleandosi con altre forze dopo il voto. Il centrosinistra ha fatto dell’europeismo un punto saliente del suo programma. Tuttavia, la forza trainante della coalizione (il Partito Democratico) e, soprattutto, il suo segretario, Matteo Renzi, non hanno mai nascosto un’insoddisfazione di fondo nei confronti dell’attuale assetto dell’Unione, ritenuto penalizzante per l’Italia. Anche qui insomma si riscontra una tensione tra europeismo (che però nel centrosinistra, a differenza che nel centrodestra, complessivamente prevale in modo più netto) e una pulsione euroscettica che cerca di conquistare consensi nella larga parte dell’opinione pubblica che vede nell’UE una figura matrigna. Il Movimento 5 Stelle invece è nato con una spiccata propensione antieuro e antieuropeista (non dimentichiamo che deve il suo successo elettorale anche, se non soprattutto, all’insoddisfazione verso le politiche del governo Monti, considerate, a torto o a ragione, imposte dall’Unione Europea). Nel tempo, tuttavia, ha moderato il proprio euroscetticismo, cercando di accreditarsi anche presso le cancellerie europee come forza istituzionale e moderata.

 

Conclusione

In definitiva, per quanto riguarda il tema dei rapporti tra Italia e Unione Europea (ma non solo), i programmi degli schieramenti conteranno assai poco. Innanzitutto, a meno di una vittoria del centrodestra, il futuro governo italiano sarà inevitabilmente il frutto di compromessi tra forze politiche assai diverse raggiunti dopo il voto. Soprattutto, un improbabile esecutivo euroscettico italiano dovrà confrontarsi con una situazione europea molto meno favorevole nei confronti delle proprie istanze rispetto a pochi mesi fa. L’uscita del Regno Unito dall’UE si sta rivelando, come era perfettamente prevedibile, complicata e costosa politicamente ed economicamente (soprattutto per Londra).

In Francia la vittoria di Emmanuel Macron ha rinsaldato l’asse franco-tedesco e assicurato la presenza di una maggioranza fortemente europeista a Parigi almeno fino al 2022. La ripresa economica dell’Eurozona ha tolto ulteriore ossigeno alle forze antieuropeiste. L’unica vera incognita politica rimane lo scenario tedesco, dove la grande coalizione è attesa al varco del voto degli iscritti socialdemocratici ed è osteggiata dalla maggioranza dell’opinione pubblica del Paese. Insomma, un’uscita calcolata dell’Italia dall’UE e dall’euro appare improbabile e, soprattutto, non desiderata nemmeno dalle forze euroscettiche più responsabili. Senza contare che l’opinione pubblica rimane europeista, non fosse altro che per mancanza di alternative e paura di salti nel buio.

Tuttavia, lo scenario non è del tutto positivo nemmeno per le forze europeiste. Innanzitutto, l’elettorato italiano rimane deluso e insoddisfatto dell’UE. Inoltre il quantitative easing, che ha rappresentato una boccata di ossigeno per le finanze pubbliche italiane, è destinato a essere progressivamente ridotto nei prossimi mesi. Infine, la ritrovata sintonia franco-tedesca potrebbe presagire una riforma dell’assetto dell’Eurozona, costringendo l’Italia a scegliere da che parte stare ed eventualmente fare le necessarie e dolorose riforme. Insomma, complice anche l’inaffidabilità dei programmi elettorali, le elezioni del 4 marzo sembrano un fattore importante, ma non decisivo, per delineare i futuri rapporti tra il nostro Paese e l’UE. La paura più grande delle istituzioni comunitarie è che il voto consegni un Parlamento ingovernabile e senza alcuna maggioranza realisticamente possibile, con lo spettro di un ritorno alle urne dopo pochi mesi. In ogni caso, la vera partita si giocherà dopo il voto e avrà luogo solo parzialmente in Italia.

di Davide Lorenzini – Il Caffè Geopolitico