Si conclude con un dietrofront da parte di ENI il caso di Saipem 12000, la nave di perforazione della compagnia energetica italiana bloccata dal 9 febbraio scorso al largo delle coste sud-orientali di Cipro dalla Marina turca. Dopo giornate di alta tensione diplomatica, il 23 febbraio ENI ha rinunciato alle perforazioni nel blocco 3, nonostante la licenza ottenuta dal governo di Nicosia. Saipem 12000 cambia così rotta spostandosi verso il Marocco.

 

Gli ultimi fatti

La mattina del 23 febbraio la nave ha tentato di aggirare il blocco di Ankara a seguito di un accordo tra ENI e il ministro cipriota dell’Energia Giorgos Lakkotrypis, ma è stata nuovamente fermata dalla Marina turca che avrebbe «minacciato di usare la forza». Secondo la versione del Ministero della Difesa italiano non ci sarebbe però stato alcun tentativo di speronamento, come confermato dalla fregata Zeffiro della Marina Militare che era in zona e ha seguito gli eventi. Impossibilitata a proseguire verso il blocco 3, Saipem 12000 si è diretta verso il porto cipriota di Limassol per fare rifornimento. Da qui partirà entro qualche giorno per il Marocco.

Il 20 febbraio il governo turco aveva comunicato che la piattaforma non si sarebbe potuta muovere dal punto in cui era stata fermata il 9 febbraio prima del 10 marzo. Nel motivare il prolungamento dello stop Ankara si era limitata a dire che le attività militari avviate dalla sua Marina nell’area, proprio in concomitanza con il passaggio di Saipem che in quel momento era diretta verso il blocco energetico 3 in cerca di giacimenti di gas naturale, sarebbero durate più del previsto.

Sulla spinosa questione era intervenuto giovedì 22 febbraio, l’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi a margine di un evento in provincia di Pavia. «Dovevamo fare questo pozzo e stiamo aspettando – ha spiegato -. È chiaro che, siccome dopo dovevamo andare in un altro Paese, è molto probabile che in questi giorni dobbiamo per necessità spostarci nella location che doveva seguire questa perforazione. Poi torneremo in attesa che la diplomazia internazionale, europea, turca, greca e cipriota trovi una soluzione». «Siamo abituati ad avere possibili contenziosi – ha proseguito l’ad di ENI – Dipende ora dalle decisioni che verranno prese da Cipro Nord e Cipro Sud. Abbiamo dei permessi che durano moltissimi anni. Se ci sono degli stalli si ferma l’orologio ma non siamo andati via dalla Libia o da altri paesi dove c’erano delle situazioni complesse. Questa è l’ultima delle preoccupazioni siamo tutti molto tranquilli e sereni». Alla fine, però, ENI a causa dell’intervento a gamba tesa di Ankara è stata costretta a cambiare in modo radicale i suoi piani rinunciando alle perforazioni a largo delle coste sud-orientali cipriote (che le sono valse perdite pari a circa 600.000 dollari al giorno) e spostando in Marocco Saipem 12000.

Ingiustificato l’immobilismo di Italia e UE

Al termine di questa vicenda, ciò che continua a sorprendere è il sostanziale immobilismo tanto del governo italiano quanto dell’Unione Europea di fronte a quella che è stata a tutti gli effetti un’ingiustificata invasione di campo da parte della Turchia.

L’azione di Ankara va certamente interpretata nell’ottica dell’annosa disputa territoriale che sull’isola di Cipro vede ancora oggi contrapposte da una parte la Turchia e, dall’altra, il governo di Nicosia e quello di Atene. Ma, al netto di questi dissapori e degli interessi energetici che il governo turco non ha mai smesso di rivendicare in queste acque per la Repubblica Turca di Cipro Nord (non riconosciuta dalla comunità internazionale a differenza della Repubblica di Cipro membro dell’UE dal 2004), resta la sostanza di una manovra rispetto alla quale Roma e Bruxelles non possono stare a guardare ancora a lungo. Di fronte a questo silenzio, una domanda non può che sorgere spontanea: se non è interesse nazionale la difesa di un importante investimento che vede impegnata la nostra compagnia energetica di bandiera, per cosa dovrebbe alzare la voce l’Italia?

Articolo aggiornato il 23 febbraio 2018