«In assoluto direi che la Libia è una delle aree più sensibili per l’organizzazione DAESH», la pensa così l’esperto di intelligence e strategia militare Chems Akrouf. Ex analista di intelligence presso la Direzione dell’intelligence militare, Chems Akrouf ha partecipato a numerose missioni all’estero nell’ambito della lotta al terrorismo. Mentre in Francia si discute dell’annunciato rientro in patria dei combattenti francesi, è diventato definitivo il numero di foreign fighters partiti dall’Esagono per il “Siraq”: il numero è salito a 1.923 individui, molti dei quali ancora in attività. Nel 2014 il governo di Parigi aveva stimato in 800 il numero delle persone andate a combattere. All’inizio del 2015 venne poi diffusa una nuova stima che indicava in 1.500 foreign fighters francesi.
A margine dei lavori del simposio organizzato a Parigi dal think-tank Centre International de Géopolitique et de Prospective Analytique (CIGPA) intitolato “RETOUR DES DJIHADISTES EN EUROPE, QUE FAIRE? L’IMBROGLIO POLITIQUE, ÉTHIQUE, JURIDIQUE ET SÉCURITAIRE”, abbiamo incontrato Chems Akrouf.
Professor Akrouf che ne è stato dei quasi 2.000 jihadisti francesi?
L’ex ministro dell’interno Bernard Cazeneuve in una recente intervista stima che 930 cittadini francesi o stranieri residenti in Francia siano attualmente coinvolti in operazioni in Siria e Iraq. Una cifra che non è mai stata così alta, basti pensare che nel 2013 erano partite solo 50 persone.
Quanti di loro sono tornati a casa?
Dal 2012 solo 350 jihadisti francesi, su quasi 2.000 combattenti, sono riusciti a tornare in Francia.
Crede che rappresentino una minaccia per la sicurezza dello Stato?
I rimpatriati sono effettivamente fonte di preoccupazione, ma i servizi francesi controllano il flusso e la destinazione dei rimpatriati. I più pericolosi sono partiti alla volta di Libia, Yemen, Afghanistan, e in altre zone di combattimento per continuare poi la loro lotta per conto del DAESH. Il livello della minnaccia resta alto, stiamo assistendo a un’evoluzione della minaccia terroristica. Dal gennaio 2015 i ricercatori dell’Università di Lione 1 hanno suddiviso in 3 tipi di categorie i terroristi che hanno agito sul suolo francese:
CASO A: “ L’ideologicamente convinto”. Non ha generalmente alcuna patologia mentale, può avere alcuni disturbi di personalità, ma è relativamente integrato nella realtà. Per lui, il passaggio all’azione attraverso le armi è legittimo. L’azione è logica conseguenza del suo impegno, che implica alla fine la morte. Ha un legame con l’organizzazione terroristica, padroneggia le armi e lavora all’interno di una cellula terroristica organizzata come quella degli attentati del 13 novembre. Predilige gli attacchi spettacolari e il confronto con la polizia per morire da martire.
CASO B: “I vettori manipolati”. Sono profili con disturbi di personalità, inidividuoi con anche gravi disturbi psichiatrici. Personalità psicologicamente vulnerabili, potenzialmente facilmente manipolabili e ideologizzati. Vengono ricercati dai reclutatori per poter essere utilizzati come arma una volta manipolati. Preferiscono modalità d’azione semplici (camion, autoveicolo, armi leggere). Non hanno alcun legame concreto con l’organizzazione terroristica.
CASO C: “Gli emulatori”. Sono personalità molto fragili, al limite del disordine mentale e che non hanno contatti reali con un’organizzazione terroristica. Essi stessi hanno l’incapacità di organizzarsi ed essere collegati ad un gruppo. Questo li porta ad agire da soli, nella riproduzione di atti terroristici che hanno visto sui media. Agire significa per loro firmare la loro adesione a un movimento terroristico.
CASO D: individui che vogliono mantenere viva l’ideologia con la loro azione, cercando di generare paura. Metodi di attacco: bomba, attacco con coltelli, veicolo ariete. Non vogliono morire da martire ma preferiscono unirsi a una forma di guerriglia per mantenere vivo il terrore.
Altro tema spinoso nel Paese sono le scarcerazioni. Il 5% delle 196 persone condannate per terrorismo sarà rilasciato entro il 2022, altre 22 saranno rilasciate nel 2019, più della metà nel 2020. Inoltre, ci sono 920 detenuti per reati comuni radicalizzati in carcere ritenuti “pronti all’atto di forza”.
Chems Akrouf: Ex analista di intelligence presso la Direzione dell’intelligence militare, anche professore presso l’Università Panthéon-Assas per il Master 2 “Media e Globalizzazione” e presso il DU di psico-criminalistica “INTERCRIM” della Facoltà di Medicina di Lione 1. Relatore sulle minacce emergenti legate alle azioni di spionaggio e alle destabilizzazioni di natura informativa e umana. Lo scorso mese settembre ad Argenteuil, la piu’ grande città della Val-d’Oise, ha iniziato in collaborazione con Christine-Louise Mainnevret-Sadowski, direttrice de la “Cellule Prévention de la tranquillité publique et de la sécurité civile”. Un ciclo di formazione per agenti di polizia e verso il pubblico in generale. Obiettivi: prevenzione dell’estremismo e della lotta alla discriminazione ( http://www.leparisien.fr/val-d-oise-95/le-plan-d-actions-inedit-d-argenteuil-contre-la-radicalisation-13-05-2019-8071230.php)
Photo. Paris, Reuters
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
Viktor Orbán, storia di un autorevole autoritario
9 Lug 2024
Era il primo gennaio 2012 quando la nuova, e subito contestata, Costituzione ungherese entrava in vigore. I segnali di…
L’Europa e le vere sfide del nostro tempo
1 Lug 2024
Nel saggio Rompere l'assedio, in uscita il 31 maggio per Paesi Edizioni, Roberto Arditti, giornalista da oltre…
I segreti dell’attacco russo all’Ucraina
13 Mag 2024
Dal 17 maggio arriva in libreria per Paesi Edizioni "Invasione. Storia e segreti dell'attacco russo all'Ucraina", il…
Che tracce lascia raccontare la guerra
14 Mar 2024
Un romanzo complesso e introspettivo, il racconto di una guerra logorante e dolorosa, vissuta in prima persona dal…