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Con il completo sgretolamento territoriale dello Stato Islamico in Siria e in Iraq sono moltissimi gli interrogativi sul futuro dell’intera regione. Che accadrà in Siria? Che ne sarà dell’Iraq e cosa sarà del popolo curdo? Tanti sono gli interrogativi sui tavoli in cui si decidono le sorti del pianeta, ma non è solo l’assetto del Medio Oriente a preoccupare.

L’intelligence europea è da tempo in apprensione per il pericolo incombente che attraversa il Vecchio Continente del rientro nei Paesi d’origine dei foreign fighters, partiti tre anni fa verso Siria e Iraq, attirati dal sogno della fondazione dello “Stato perfetto del profeta” e ora pronti a compiere stragi in Europa in nome dell’ISIS.

Secondo le ultime stime sono stati più di 40mila i soldati arruolati nell’esercito del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi: uomini, donne e purtroppo anche tantissimi bambini provenienti da 110 Paesi del mondo. Persone che hanno mandato la loro esistenza in frantumi, illusi dall’incessante propaganda iniziata con l’annuncio della fondazione del Califfato islamico nel giugno del 2014 dalla Grande Moschea di Mosul.

Partiti da anonime città europee e da quartieri disagiati, queste persone si sono trasformate in miliziani spietati mostrando al mondo ogni genere di efferatezza: ostaggi sgozzati o bruciati vivi, “miscredenti” impiccati o dilapidati in pubblico. E come dimenticare i bambini diventati guerrieri, i “cuccioli” o i “leoncini” del Califfato, emblema di una follia collettiva durata anni e della quale, forse, non si è ancora capito davvero tutto.

Secondo le ultime stime sono stati più di 40mila i soldati arruolati nell’esercito del Califfato provenienti da 110 Paesi

Dall’Europa sono partiti in 6.500, di cui almeno 500 erano donne. Chi si è messo in cammino lo ha fatto per diverse ragioni: alcuni, almeno inizialmente, con l’idea di combattere il regime siriano di Bashar Al Assad; altri perché spinti da motivi religiosi dopo essersi radicalizzati sul web o nelle moschee gestite dai “predicatori dell’odio”; altri ancora per tentare il riscatto personale reagendo a una vita passata ai margini della società attraverso il Jihad, senza nemmeno sapere però in molti casi nemmeno di cosa si trattasse. Ben presto in moltissimi si sono resi conto a quali orrori erano andati incontro. Ma il biglietto per i territori del Califfato era di sola andata come hanno dimostrato le barbare uccisioni di chi, pentendosi, ha provato a fuggire.

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Vale su tutte la vicenda delle due adolescenti austriache di origine bosniaca – Samra Kesinovic di 16 anni e Sabina Selimovic di 15 – partite da Vienna il 10 aprile del 2014 per unirsi in matrimonio a dei miliziani ceceni dell’ISIS. Appurato il tragico errore che avevano commesso dopo l’iniziale entusiasmo, hanno preso contatti con le famiglie per tornare a casa. La prima è stata uccisa mentre tentava di scappare, la seconda ha perso la vita in un bombardamento.

I numeri

Dei 40mila jihadisti partiti per Siria e Iraq, oggi si hanno le identità e si conosce la provenienza di circa 19mila grazie al ritrovamento di molta documentazione probatoria. Ma dove sono finiti tutti questo soldati del Califfato? Secondo il think tank americano The Soufan Group, almeno 5.600 sono tornati nei loro Paesi d’origine dopo la sconfitta militare sancita dalla caduta di Raqqa, capitale siriana dello Stato Islamico, il 17 ottobre scorso.

Altro dato interessante è quello in possesso del governo americano, secondo cui dei 40mila miliziani dell’ISIS iniziali circa 25mila sarebbero stati uccisi in battaglia, anche se occorre essere molto prudenti con questi numeri.

Dall’Europa i “soldati di Allah” partiti per combattere al servizio dell’ISIS sono stati tra i 5mila e i 7mila, 4mila dei quali hanno un passaporto di un Paese membro dell’Unione Europea. Buona parte di loro sono morti, mentre il 30% sarebbe rientrato in patria. Si sa che la maggioranza è composta da francesi, inglesi e tedeschi, seguiti da quelli partiti dal Belgio, Paese che detiene il poco invidiabile record di foreign fighters in rapporto alla popolazione.

Dall’Europa i “soldati di Allah” partiti per combattere al servizio dell’ISIS sono stati tra i 5mila e i 7mila: il 30% sarebbe rientrato in patria

Ci sono poi svedesi, austriaci, svizzeri, olandesi, italiani, finlandesi, spagnoli. Una volta rientrati in patria, di molti di loro si sono perse le tracce. In Inghilterra (400 rientri), Francia (271 rientri ), Germania (270 rientri) e Belgio (60 rientri) l’allarme è altissimo e il numero degli attentati sventati continua drammaticamente ad aumentare. Sullo sfondo restano la Russia e i rischi che corre il Paese di Vladimir Putin, dove nell’estate del 2018 si terranno i mondiali di calcio. Ieri ISIS tramite i suoi organi di propaganda, collegati alla Wafa Media Foundation, ha lanciato la prima minaccia diffondendo un fotomontaggio del campione argentino Lionel Messi che piange lacrime di sangue dietro le sbarre.