La “guerra politica”, classicamente, racchiude una gamma di operazioni diverse da quelle di tipo militare, ed è finalizzata a conseguire precisi obiettivi politici. Nella guerra politica, che rappresenta il “genere”, le cosiddette “specie” e cioè le categorie che la compongono, sono la diplomazia coercitiva, la diplomazia pubblica, la propaganda bianca o nera, la corruzione, la sovversione, l’inganno (che gli americani chiamano deception).

A Washington ripresero queste nozioni dai britannici, che nel 1941 diedero vita al Political Warfare Executive, un lungimirante spettro di attività atte a influenzare potentemente lo stato sensorio-percettivo degli abitanti del Terzo Reich, in Germania e nei Paesi occupati.

George Frost Kennan, durante la Guerra Fredda, fece proprie e perfezionò queste elaborazioni, che trovarono applicazione su larga scala nella difesa della cortina di ferro fino al 1991. Le operazioni peculiari della guerra politica consentirono di fronteggiare, successivamente, la “guerra ibrida” russa, la “guerra senza limiti” cinese, quella asimmetrica iraniana con le sue capacità “non cinetiche”, osteggiando minacce come la disinformazione e le dinamiche d’influenza.

Finita la contrapposizione tra Est e Ovest, i governi occidentali misero in sottordine la political warfare, a favore di strumenti dal valore tecnologico superiore, ma da allora persero la capacità di condizionare nel senso voluto il corso degli eventi politici e geopolitici di alcune aree del mondo.

Si trattò, con evidenza, di una scelta dovuta al venir meno della tensione tra i blocchi, sull’onda delle sin troppo facili previsioni di Fukuyama. Una preferenza che tuttavia espose le democrazie all’influenza delle “forze dispotiche” quali Cina, Russia, Iran, come nel caso molto recente del Russiagate, legato a doppio filo alla vittoria di Donald Trump.

I governi utilizzano la guerra politica a supporto di obiettivi interni o esterni, attraverso interventi palesi o occulti. Essa consiste nell’uso di informazioni, messaggi, espedienti, al fine di modificare la volontà del pubblico attraverso la propaganda, la contro-propaganda, la disinformazione, l’ideologia.

C’è però uno scenario inedito che va messo in luce. La sconfitta delle élites pubbliche (dovuta principalmente alla vittoria della tecnica sulla politica) a vantaggio delle élites private, avvenuta con il crollo del Comunismo, ha segnato il trionfo delle classi dirigenti a capo di colossi dell’energia e del web, multinazionali oligopolistiche capaci di influenzare tutto il sistema dei media e non solo in ordine alle preferenze commerciali dei consumatori.

 

La guerra politica consiste nell’uso di informazioni, messaggi, espedienti, al fine di modificare la volontà del pubblico attraverso la propaganda, la contro-propaganda, la disinformazione, l’ideologia

 

Pertanto, le élites private sono diventate esse stesse policy makers, non sono più solo operatori del mercato riuniti in gruppi d’interesse. Il concetto di guerra politica è antico quanto la storia della politica e della filosofia, ma a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento la sua applicazione è stata mutuata e ottimizzata dalle grandi corporation, dotate di mezzi finanziari ciclopici.

I regolatori, i regolati, le regolamentazioni, nel tempo sono divenuti praticamente indistinguibili. I detentori del potere reale controllano i media, influenzano la quasi totalità delle decisioni economiche e molte di quelle politiche, che hanno un’incidenza enorme sullo sviluppo della società umana. Per poterlo fare, queste élites private beneficiano anzitutto i loro sostenitori politici, a difesa della propria quota di ricchezza dentro il perimetro del Crony Capitalism.

Non sorprende che esse si servano di alcuni strumenti della “guerra economica”, bensì preoccupa che possano accedere eventualmente a quelli della “guerra politica” attraverso il possesso di informazioni per manovrare l’opinione pubblica, corrompere la burocrazia, suggellare o modificare accordi commerciali e/o relazioni internazionali.

Si configura un’attività sofisticata, da parte di soggetti privati, sottesa al condizionamento, alla persuasione, alla cooptazione, alla manipolazione. L’obiettivo è indebolire le élites di genesi elettiva o burocratica, alterare le percezioni e le convinzioni, con effetti sulla vita politica e, a cascata, sul decision-making statale in relazione ad ambiti come quello legislativo, commerciale, militare. Le multinazionali usano gli strumenti dell’intelligence, in particolare quel ventaglio di opzioni che comprende business intelligence, competitive intelligence, political intelligence, ma anche altri interventi di natura occulta e più pervasiva.

Quale livello informativo, di analisi, di gestione del rischio, si cela dietro gli apparati di sicurezza delle grandi multinazionali private? A quanto ammontano i loro investimenti in attività di disinformazione? Quali limitazioni effettive sono possibili in ordine ai loro comportamenti?

Quando la platea dei governanti non è più in grado di auto-riformarsi, prende il sopravvento l’anarchia dei governati. E laddove il potere della liberaldemocrazia si disgrega, per mancanza di velocità nelle decisioni – da parte di coloro che dovrebbero esigere il rispetto dell’ordinamento giuridico e dell’autentica concorrenza per il mercato – proliferano e si cementano giustizie private e predomini privati.

Scomodando Pareto, si può dire che la storia sia davvero il cimitero delle aristocrazie. Il “mondo libero”, come lo definì magnificamente Winston Churchill nel 1946, è affetto dalla sindrome di Stoccolma; esso sembra rifiutare lo stampo e le regole stesse che hanno contribuito a farne una civiltà moderna, ed è terreno di conquista per Stati-canaglia, sistemi illiberali e totalitari, gruppi sovversivi e terroristici, ma anche di corporation assurte a soggetti politici globali, legittimati tuttavia solo dal mercato.