Alla fine anche Theresa May si sta convincendo che avevano ragione i tanto vituperati “esperti”. Data l’incompatibilità tra i vincoli imprescindibili che il suo governo si è voluto porre nei negoziati con l’Unione europea, sul tavolo sono rimaste solo due opzioni possibili: Brexit “dura” (cioè senza alcun accordo con la Ue) o nessuna Brexit. Per essere politicamente percorribile, la seconda opzione dovrà però essere sancita da un nuovo referendum, che continua a essere escluso dal governo. È quindi interessante chiedersi quali saranno le conseguenze che la Brexit “dura” potrebbe avere alla luce di un dibattito pubblico durato quasi tre anni.

Con un’uscita senza accordo, il Regno Unito abbandonerà da un giorno all’altro il contesto legale e istituzionale, che per 40 anni ha regolato non solo i suoi scambi commerciali con l’estero, ma anche una buona parte della sua attività economica interna, senza aver avuto il tempo di creare un quadro normativo sostitutivo. I sudditi di sua maestà ne soffriranno. Secondo le analisi del governo, l’economia del Regno Unito si rimpicciolirà del 7,7% nei 15 anni dopo la Brexit. Per la Banca d’Inghilterra la contrazione sarà dell’8%, mentre la sterlina perderà fino a un quarto del suo valore.

I rapporti commerciali tra Regno Unito e Ue saranno regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio. In media i dazi sulle merci esportate dal Regno Unito verso l’Unione europea saliranno da zero a 4,3%, mentre per quelle importate si passerà da zero al 5,7 per cento. Ai dazi si aggiungeranno le lungaggini burocratiche legate al fatto che le merci dovranno essere controllate al confine per garantirne l’adeguatezza rispetto alla normativa del Paese importatore. Oltre ai relativi costi monetari, i controlli si tradurranno anche in onerose perdite di tempo. Due soli minuti di sosta in più per i camion potranno generare fino a 47 chilometri di incolonnamenti. Per questo motivo, il governo ha pensato di adibire a parcheggio venti chilometri di autostrada in prossimità di Dover. Sempre che ci siano tutti quei camion. Dopo la Brexit il loro flusso sarà regolato dalla Convenzione di Vienna sul trasporto su strada, in base alla quale ogni anno soltanto 1.200 dei 75mila camion britannici avranno il permesso di operare liberamente tra Regno Unito e Unione europea. Per aggirare questo collo di bottiglia, Oltremanica si sta pensando di rafforzare le infrastrutture portuali in modo da sostituire parte del trasporto su strada con traffico navale di container.

In attesa che Dover diventi Hong Kong, per alcuni settori nevralgici dell’economia britannica è scattato l’allarme rosso. Dazi, code e restrizioni nel settore dell’autotrasporto metteranno in crisi la logistica della grande distribuzione. I supermercati tengono scorte alimentari per meno di due giorni e non dispongono di spazi adeguati per averne di più. Si è cominciato a parlare di razionamento dei generi alimentari e della necessità di un intervento governativo per decidere quali aree del Paese debbano essere rifornite in via prioritaria. Anche farmacie e ospedali saranno sotto pressione. Si stanno già accumulando scorte di medicinali importati di assoluta necessità, come l’insulina, e, in generale, tutti i farmaci di cui occorre garantire la continuità della catena del freddo. Nel Regno Unito ci sono circa un milione di pazienti sottoposti a radioterapia. Le loro cure dipendono dall’importazione di isotopi, le cui proprietà radioattive si dimezzano in meno di tre giorni. Nel settore automobilistico sarà in emergenza una filiera che dà lavoro a più di un milione di persone. La Mini prodotta dalla Bmw a Oxford è fatta di circa 5mila componenti. La sua produzione richiede la consegna giornaliera di 4 milioni di pezzi da parte di 200 camion. Due terzi dei componenti arrivano dal Continente: dovranno essere controllati e tassati al confine. Come avverrà anche per tutte le Mini esportate in Europa. Nel 2017 il Regno Unito ha prodotto quasi un milione e mezzo di automobili, di queste più della metà sono state esportate nella Ue. Se, per ridurre i costi legati alle nuove barriere commerciali, la produzione di queste automobili esportate dovesse spostarsi sul Continente, la Brexit potrebbe spazzare via metà dell’industria automobilistica britannica e mezzo milione di posti di lavoro.

Una Brexit senza accordo priverà il Regno Unito di tantissime altre cose, dall’accesso al mercato unico dei servizi allo spazio aereo europeo, dalle banche dati dell’Europol al mandato di cattura europeo, dai fondi di sviluppo regionale a quelli di ricerca offerti dalla Ue. Le ricadute negative per i britannici potrebbero essere mitigate, qualora il Regno Unito riuscisse a sostituire i 759 trattati della Ue con altri 168 Paesi con accordi bilaterali migliorativi. Se qualche altro Paese stesse pensando di uscire dall’Unione farebbe bene ad aspettare di vedere che cosa succederà nel Regno Unito.

Gianmarco Ottaviano

articolo pubblicato su IlSole24Ore.com