La stampa italiana stenta a fare le connessioni. O perché non è capace oppure perché è in malafede. Lo dimostrano gli articoli sui “Qatar Papers”, il libro scritto dai giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot che rivela i finanziamenti nel 2014 di Doha a moschee e centri islamici in Europa: 72 milioni di euro di cui 22 soltanto in Italia. Scatta così l’allarme dei giornali sui legami del Qatar con i Fratelli Musulmani. Non uno che ricordi le nostre forniture di armi all’emiro Al Thani: in poco più di un anno 9 miliardi di euro tra navi ed elicotteri. Magari così ci spieghiamo meglio come stanno le cose, vero? Il Qatar per l’Italia è una piccola Sparta del Golfo. Stiamo armando fino ai denti l’emirato sotto embargo dell’Arabia saudita e dei suoi alleati del Golfo che accusano Doha, insieme alla Turchia, di proteggere i Fratelli Musulmani e il loro capo Yusuf al Qaradawi, ritenuti con il loro Islam politico un’insidia letale per le monarchie assolute della regione.

In poco più di un anno abbiamo venduto a Doha sette navi da guerra Fincantieri per 4 miliardi di euro, 28 elicotteri NH 90 (ex AgustaWestland) per 3 miliardi di euro, inoltre è stata siglata un’intesa da oltre 6 miliardi di euro per 24 caccia Typhoon del consorzio Eurofighter, di cui Leonardo-Finmeccanica ha una quota del 36 per cento. Aerei che per altro sono stati venduti anche all’Arabia Saudita, dopo una visita a Londra del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, secondo la Cia il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Ecco alcuni dei tanti motivi – le tensioni nel Golfo e in Libia – per cui l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani qui da noi ha un peso rilevante. Siamo un alleato strategico. L’emirato è un grande produttore di gas, in partnership con l’Iran – sotto sanzioni americane – ed è uno dei maggiori investitori stranieri in Italia, dove i qatarini hanno acquistato marchi della moda (Valentino), immobili, grandi alberghi e la compagnia aerea AirItaly, ex Meridiana, dall’Agha Khan.

La Qatar Investment Authority (Qia) è un colosso il cui patrimonio stimato è di 335 miliardi: l’Italia non si può certo premettere di trattarlo male. Qui vuole fare proseliti tra i musulmani a spese dei sauditi e delle altre monarchie del Golfo. Non può stupire quindi se nel libro di Malbrunot, un collega e un amico, sequestrato in Iraq nel 2004 mentre eravamo insieme a Baghdad, viene citata una lettera di Yusuf al Qaradawi, in cui lo sceicco elogia il Caim, Coordinamento associazioni islamiche di Milano e Monza e Brianza, ed esorta i destinatari a donare generosamente ai suoi rappresentanti Yassine Baradei e Davide Piccardo, noti esponenti dell’islam lombardo, per sostenere il loro progetto di costruire un nuovo grande centro islamico a Milano, con una moschea e vari centri educativi.

I nostri rapporti con il Qatar non solo sono economici ma anche politici. Con Doha e la Turchia di Erdogan, l’Italia sostiene il governo Sarraj di Tripoli che si contrappone al generale della Cirenaica Khalifa Haftar, alleato di Egitto, Francia, Russia e sauditi, che è anche il peggiore nemico dei Fratelli Musulmani di Tripoli. Per l’Italia è un rompicapo: Roma appoggia un governo tenuto in ostaggio da milizie salafite che hanno come riferimento politico nel governo e nelle istituzioni proprio i Fratelli Musulmani. Bisogna essere franchi. Con l’Emiro del Qatar, mentre lui finanziava moschee, centri islamici, ospedali e università, comprandosi le nostre aziende, i nostri marchi, le nostre armi, i nostri manager, l’Italia si è messa allegramente alla cassa chiudendo un occhio, e forse due, sui Fratelli Musulmani.