Saranno stati i toni, surrealisticamente minatori, sarà stato lo scarso tempismo, fatto sta che l’accorato appello che il presidente Trump ha esternato tramite Twitter è caduto nel vuoto e l’aviazione russa ha cominciato a bombardare la sacca di Idlib, per spianare la strada alle operazioni di terra dell’esercito di Bashar al Assad, ormai intenzionato a chiudere la partita della guerra civile riprendendo il controllo dell’ultima regione ancora in mano alle formazioni ribelli.

Idlib, situata a nord ovest del paese, a pochi chilometri dal confine con la Turchia è una città da oltre un milione di persone e fino ad oggi è rimasta saldamente in mano ad una composita galassia di gruppi più o meno radicali che si oppongono al potere alhawita tra i quali spicca Hay’et Tahir al-Sham (ex Fronte al Nusra) ed è stata la destinazione di arrivo di molti combattenti provenienti da altre zone del conflitto che hanno deposto le armi trattando la resa con l’Esercito Arabo Siriano. Di qui l’urgenza del governo siriano di rimuovere rapidamente la minaccia, prima che il potere si consolidi nelle mani del gruppo egemone e renda l’operazione più inutilmente sanguinosa. L’esito appare scontato e il dispiego muscolare di uomini e mezzi, sia da parte russa che da parte siriana, dimostra la volontà di agire con la massima rapidità per scoraggiare eventuali ingerenze esterne, richiamate dall’emergenza umanitaria.

Infatti, quello che sembra preoccupare di più le Nazioni Uniti, che attraverso le parole di Staffan de Mistura hanno ammonito sui rischi di una operazione di vasta portata in una zona così densamente popolata, è proprio l’eventualità che la presa di Idlib si trasformi in una mattanza di civili e in un massiccio flusso di rifugiati verso la Turchia, che si aggiungerebbero ai 3 milioni e mezzo che il paese già accoglie.

La possibilità che Ankara si trovi a dover far fronte ad un nuovo esodo dalla Siria è sufficiente per far mantenere ad Erdogan una posizione ancora piuttosto defilata rispetto alle attività belliche in vista. C’è il timore infatti che di fronte alla prospettiva di guerra aperta, una parte di combattenti radicalizzati sconfitti ormai in Siria, possano attraversare i confini con esiti al momento imponderabili.

Tutto, dunque, appare pronto per l’inizio delle operazioni militari: Mosca, ha attivato i suoi canali diplomatici con gli alleati turchi e iraniani in vista delle conferenza di Teheran di venerdì 7, nella quale si proverà a decidere il nuovo assetto politico della Siria che verrà. Fino a quel momento è improbabile che parta l’attacco decisivo, ma la strada ormai è tracciata.