In attesa che Riad risponda gli altri attori dell’intrigo Khashoggi premono sul regno. Ed è ancora l’intelligence Usa a fissare dei paletti: il giornalista è morto, il principe Mohammed è coinvolto anche se per ora non sono state raccolte prove precise, però è altrettanto evidente che a condurre l’operazione sono stati uomini legati al suo apparato.
I punti chiave
Ripetendo quanto avvenuto negli ultimi giorni, New York Times e Washington Post riportano informazioni fornite dai servizi statunitensi. Questa la sintesi del report: 1/ Mohammed ha avviato da tempo una campagna per silenziare gli oppositori e in questo quadro voleva attirare in patria Jamal Khashoggi. Gli americani avrebbero intercettazioni dove funzionare sauditi parlano di rapirlo. 2/ Come emerso ieri una mezza dozzina degli elementi coinvolti nella vicenda e apparsi a Istanbul appartengono alla scorta o ad apparati vicini a al principe. 3/ Un alto funzionario, Saud al Qahtani, incaricato di gestire “lavori” delicati per conto di MBS, ha contattato personalmente il commentatore chiedendogli di rientrare a Riad in cambio di un buon salario. 4/ E’ impossibile sostenere la tesi di elementi “fuori controllo” che hanno agito per conto loro: una tale azione deve essere stata approvata al massimo livello.
La sfida
Sono valutazioni pesanti che restringono le responsabilità sulla figura chiave del regno e al tempo stesso segnalano come gli “007” statunitensi giochino la loro partita incalzando lo stesso Trump al quale presenteranno, a breve, un rapporto. Il presidente ha continuato a difendere l’alleato e anche la missione del segretario di Stato Pompeo è apparsa troppo morbida. Difendono affari e amicizie nonostante le crescenti pressioni di molti congressisti. Il Washington Post sostiene che il consigliere legale di The Donald, Rudolph Giuliani, ha riferito che nell’amministrazione pochi hanno dubbi sulla fine del giornalista Per certi aspetti si sta riproducendo lo schema vista sui russi: le spie accusano, la Casa Bianca non reagisce. Oggi molti analisti ritengono che l’exit strategy con Riad che scarica le colpe sui “servizi deviati” sia impantanata, se non affondata. Perché poco credibile e resa difficile dalla lentezza nelle risposte dei sauditi.
I controlli
Infine c’è la Turchia. Erdogan ha concesso dei giorni, ha chiesto chiarimenti, poi davanti alle resistenze di Riad – che ha negato di sapere che fine avesse fatto Jamal – ha aperto il rubinetto delle indiscrezioni. Terribili. In quanto hanno documentato – secondo i turchi – le torture e l’omicidio del commentatore il 2 ottobre, aggressione documentata da un audio che però non sarebbe stato passato agli Usa. Trump, infatti, ha avanzato dubbi se il file esista mentre alcuni osservatori hanno ipotizzato che forse le antenne della NSA abbiano captato comunque qualcosa. Intanto la polizia è alla ricerca di riscontri con nuove perquisizioni nel consolato e nella residenza a Istanbul, la Scientifica vuole scovare le tracce dello scempio. Secondo una ricostruzione il corpo della vittima sarebbe stato smembrato.
Misteri
Insieme agli sviluppi investigativi girano notizie inverificabili. Alcune sono parte di della battaglia propagandistica condotta da sauditi, turchi e i loro alleati. Il quotidiano Yeni Safak ha scritto che un ufficiale saudita che era parte del presunto commando di Istanbul sarebbe deceduto in un incidente stradale “sospetto” una volta rientrato nel paese. News già uscita, ma ritenuta non fondata. Un’altra ha riguardato il console, che richiamato in patria, sarebbe stato messo sotto inchiesta. Sviluppo, però, smentito. In questa fase è davvero complicato distinguere tra le veleni e realtà.
Guido Olimpio
Articolo pubblicato su Corriere.it

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