Dopo l’intenso abbraccio del presidente siriano Bashar Al Assad al suo “salvatore” Vladimir Putin a favor di fotocamera. Dopo la visita del presidente iraniano Hassan Rouhani e del collega turco Recep Tayyip Erdogan, che si sono ritrovati nella dacia di Sochi per definire il futuro della Siria nel post Stato Islamico, ecco che a rompere l’idillio arriva il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman.
Il quale, intervistato dal New York Times, ha definito la guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, come «il nuovo Hitler». Salman ha tuonato anche contro l’Europa, invitandola a non commettere il medesimo errore compiuto con il Terzo Reich prima che questo scatenasse la Seconda Guerra Mondiale. «L’appeasement non paga» ha detto Salman, riferendosi all’accordo sul nucleare siglato dall’ex presidente USA Obama e alla voglia dell’UE di riprender a fare affari con Teheran.
Il che significa due cose: primo, il giovane e futuro regnante di casa Saud ormai si muove da leader poiché dispone di pieni poteri decisionali e parla come se fosse già il monarca. Secondo e più importante, Riad teme moltissimo lo strapotere iraniano che, mai come adesso, dispone di una forza negoziale, economica e militare, invidiabili.
Questo per i sunniti di Riad, acerrimi nemici degli Ayatolah sciiti, si traduce in una gara senza precedenti, che trova in Siria e in Libano (l’Iraq ormai è definitivamente scivolato nelle braccia di Teheran) il terreno politico ed economico sul quale confrontarsi aspramente.
Va inquadrata in questo contesto la mossa di Riad di chiedere al premier libanese Saad Hariri di dimettersi, salvo poi fare strumentalmente marcia indietro. Si è trattato di una sorta di dimostrazione di forza, per mandare a dire all’Iran che il peso politico dei sauditi in Libano è ancora rilevante e tale da poter destabilizzare l’area, nonostante gli ayatollah esercitino in questo paese un ruolo di dominus, grazie al fatto che controllano le milizie Hezbollah.
La rete elettrica iraniana
Economicamente parlando, invece, il Libano è il terminale via Siria di un progetto molto ambizioso che Teheran ha in mente di sviluppare in questa regione. Dopo essere riuscito a sgominare le milizie sunnite (ISIS per prima) grazie all’aiuto di Mosca, adesso che la strada lungo l’asse Baghdad-Damasco è libera, con la complicità di questi governi l’Iran punta a costruire nel cuore del corridoio sciita la più grande rete elettrica della regione. Che trova nel Libano, cioè nel Mediterraneo, lo sbocco naturale.
Questa rete, che diventerà proprietà privata dei pasdaran e dunque un’espressione diretta del governo degli ayatollah, consentirà a Teheran di fornire energia elettrica a immense aree del Medio Oriente dove la luce, complice le devastazioni seguite alla guerra, oggi scarseggia o manca del tutto. Un’operazione cruciale sia dal punto di vista finanziario che politico-sociale: in aree dove alla popolazione non sono più garantiti i servizi essenziali, portare in dote riparazioni, ricostruzioni, miglioramenti della qualità di vita, pagherà in termini di consenso e di fiducia.
Se a ciò si aggiunge che la Russia, insieme alla Turchia, stanno ultimando una proposta politica per impedire il riemergere di nuove conflittualità in Siria, e imporre una pace condivisa attraverso la promozione del cosiddetto “Congresso dei Popoli della Siria”, si capisce come la partita mediorientale oggi si sia nettamente sbilanciata in favore di Teheran. Inoltre, tutti gli interlocutori regionali sembrano accondiscendere al progetto energetico in mano ai pasdaran.
Le contromosse saudite
Un incubo per l’Arabia Saudita che, da par suo, ha in progetto una grande diversificazione energetica per dipendere non più e non soltanto dal petrolio. Seguendo un po’ lo stesso ragionamento di Teheran, infatti, il governo di Riad ha lanciato “Vision 2030”, un ambizioso piano che tra le altre cose prevede lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili.
Il giovane principe Salman, motore e promotore della nuova strategia, intende promuovere una serie di politiche economiche che vanno in direzione della green economy, indirizzando risorse e destinando investimenti in tecnologie che utilizzino le rinnovabili per raggiungere l’efficienza energetica.
Ma la concorrenza di Teheran rischia di far deragliare il suo progetto che, se pure punta principalmente sul mercato interno dell’Arabia, conta però di attrarre investimenti e capitali soprattutto dall’estero. Quegli stessi capitali e investitori che ora potrebbero essere dissuasi dalle sirene iraniane, perché propongono investimenti più sicuri, come una classica rete elettrica, oltre a una serie d’interventi infrastrutturali in paesi da ricostruire quasi integralmente.
Gli Stati Uniti oggi sono al fianco del principe Salman, mentre Mosca crede molto nel progetto del corridoio iraniano. Sotto i rispettivi protettori, la fine della guerra per procura attuata da Iran e Arabia Saudita con eserciti e milizie, sta dunque per ricominciare a colpi di operazioni economiche. Che non escludono un ritorno forzato alla destabilizzazione.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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