Non si sono fatte attendere le reazioni della dirigenza iraniana all’attentato che due giorni fa ad Ahvaz ha colpito una parata militare che commemorava l’inizio del conflitto con l’Iraq del 1980. Il bilancio finale è di 25 morti e 75 feriti, colpiti dal fuoco degli attentatori mescolati alle truppe che sfilavano sui viali principali della città. Secondo le agenzie locali nel conto delle vittime dell’attacco ci sarebbero anche almeno 8 membri delle Guardie della Rivoluzione, il corpo scelto direttamente dipendente dalla Guida Suprema Ali Khamenei. Il gruppo ha poi emesso un duro comunicato in cui assicura nell’immediato futuro “una vendetta indimenticabile contro chi ha messo in pericolo la Rivoluzione islamica”.
I sospetti del presidente Rouhani invece sono chiari, dietro all’attacco terroristico ci sarebbe uno degli stati del Golfo alleati degli Stati Uniti che vedono nell’Iran una minaccia nel Medio Oriente alle mire dell’altro big player dell’area: l’Arabia Saudita. Secondo il leader iraniano l’attentato, che sarà ricordato come il più cruento degli ultimi dieci anni, è da inserire nella strategia della destabilizzazione portata avanti dalle potenze occidentali con il fine di indebolire lo stato persiano in favore del suo diretto antagonista. “Tutti questi piccoli stati mercenari sono alimentati dai denari dall’America” ha detto Hassan Rouhani durante il suo discorso alla televisione di stato “sono gli Stati Uniti che forniscono ai terroristi i mezzi necessari per commettere questi orribili crimini”.
Sono attivi infatti nella regione del Khuzestan, di cui Ahvaz è il capoluogo, gruppi di militanti separatisti arabi che combattono per l’autodeterminazione dell’area a maggioranza araba, che avrebbero rivendicato l’assalto, marcando così un’escalation nel conflitto con il governo; finora infatti le attività dei separatisti si erano limitate ad avere come obiettivi le infrastrutture strategiche del petrolio: pozzi e pipelines. In un primo momento si era dato credito alle voci che avrebbero identificato negli assalitori ribelli takfiri (parola comunemente utilizzata per definire chi combatte contro i precetti del vero Islam) appartenenti allo Stato Islamico di al Baghdadi, determinati a punire l’Iran per il proprio coinvolgimento nella guerra contro il Califfato in Siria al fianco di Bashar al Assad. L’ipotesi ha poi perso vigore per una serie di incongruenze che non hanno convinto gli ufficiali di Tehran ed ha preso maggiore credibilità la rivendicazione delle organizzazioni separatiste che accusano lo stato persiano di discriminazione contro la minoranza di etnia araba.
Gli Stati Uniti da parte loro hanno espresso rammarico per l’evento condannando “tutti gli atti di terrorismo e la perdita di vite innocenti”, ma è evidente ormai che le relazioni tra i due paesi siano in caduta libera fin da quando il presidente Trump ha chiamato fuori il paese nordamercicano dall’accordo sul nucleare, riaprendo un nuovo fronte di crisi sul fronte mediorientale.
Redazione
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