L’uccisione di Qasem Soleimani ha cancellato una situazione di intangibilità: i vertici dei pasdaran potevano manovrare senza timore di dover pagare con la loro vita, anche se erano pronti all’eventualità. Per questo non sarà facile il compito del suo successore, il generale Ismail Ghaani, dal 1997 vice comandante della Divisione Qods, l’unità speciale dei guardiani della rivoluzione iraniani.

La Guida Alì Khamenei lo ha scelto in quanto rappresenta la continuità, ma anche perché rispecchia equilibri di forze interni al «Corpo». Sessantadue anni, originario del Nord Khorasan, l’ufficiale ha avuto una carriera parallela a quella del predecessore. A ventidue anni entra nelle file dei guardiani, lo schierano contro i curdi – una delle tante ondate repressive dei mullah -, poi al fronte a battersi contro l’invasore iracheno, allora appoggiato dall’Occidente. Guerra di trincea, un tritacarne.

Ghaani mostra iniziativa, coraggio, audacia. Almeno è ciò che raccontano le scarne note ufficiali. Cresce di grado, gli affidano la responsabilità di due reparti – la Divisione Nasr 5 e la Reza 21 -, dimostra solidità. In un’intervista afferma che un buon ufficiale deve considerare i suoi soldati alla stregua di figli, cerca di essere il più vicino possibile alla truppa anche se ricostruzioni successive sostengono che non gode della stessa popolarità di Soleimani.

Come altri quadri usciti dal conflitto, assume posizioni di rilievo. Si occupa di Afghanistan/Pakistan, di lotta ai trafficanti di droga, fonti dell’opposizione lo identificano quale responsabile del Quarto Corpo Ansar. Poi il passaggio nella Qods, anello di congiunzione tra regime e movimenti alleati, struttura per operazioni particolari. Essendo da così molto tempo all’interno di questo snodo di potere ha potuto costruire relazioni importanti. Secondo Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies, Ghaani è molto più estremo di Suleimani e rappresenta una cordata di pasdaran propensi allo scontro.

Intanto è atteso da tre missioni:

1) La vendetta per onorare Suleimani. Una risposta forte ma senza fare mosse che creino problemi;

2) Ricostruire i rapporti con quella parte di realtà sciita in Libano e Iraq che si è allontanata da Teheran;

3) Proteggere il regime stesso;

I tempi della rappresaglia per i movimenti islamici non sono meccanismi a molla. C’è la pausa di riflessione, la scelta del «modo e del luogo più opportuni». Nel luglio 1988 un jet passeggeri iraniano è abbattuto per errore da un missile Usa, alla vigilia di Natale il jumbo Pan Am è disintegrato da una bomba in Scozia, strage attribuita a Gheddafi ma con tanti padri. Il 16 febbraio 1992 gli israeliani uccidono il leader Hezbollah Mussawi, un mese dopo salta per aria l’ambasciata israeliana a Buenos Aires. Il 12 febbraio 2008 un ordigno elimina a Damasco Imad Mughnyeh, uno dei migliori operativi dell’Hezbollah e «fratello» di lotta della Qods, la ritorsione – in apparenza – non c’è mai stata. Nel 2010 numerosi scienziati iraniani sono assassinati, Teheran prova a rispondere con una serie di attacchi analoghi all’estero contro target israeliani, specie in Asia. Ed è possibile che la strage di turisti – sempre israeliani – a Burgas (Bulgaria, 2012), sia parte della guerra segreta.

Ghaani, infine, dovrà dare un occhio a ciò che esce sui media e in cielo. Dopo l’estate Il capo del Mossad, Yossi Cohen aveva osservato che «non era impossibile» l’eliminazione del generale Soleimani, ma aveva aggiunto: non ha ancora necessariamente compiuto l’errore che lo includerebbe nella lista degli obiettivi.

Pubblicato sul Corriere della Sera