Il presidente americano Trump ha annunciato così il ritiro ufficiale di Washington dall’accordo sul nucleare iraniano: “L’accordo così com’è non funziona e l’Iran è il maggiore sponsor del terrorismo internazionale”,
Il patto, formalmente conosciuto come Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), era stato faticosamente sottoscritto nel dicembre del 2015 dal gruppo dei “5+1”, ovvero Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania con l’aggiunta di Russia e Cina. Il JCPOA era una delle conquiste dell’ex presidente democratico Barack Obama che ora il suo successore ha cancellato con un colpo di spugna. Trump ha promesso pesanti sanzioni contro Teheran dirette anche a tutte le aziende che vorranno stringere accordi economici con la Repubblica Islamica. Per gli accordi già esistenti, si attendono le disposizioni del dipartimento del Tesoro Usa. L’ipotesi è prevedere un periodo di tempo compreso tra 90 giorni e sei mesi per annullare tutti i contratti già in vigore. La decisione del capo della Casa Bianca apre a due possibili scenari: o un nuovo accordo che tenga conto delle richieste di Washington oppure l’inevitabile cambio di regime.
L’intesa prevedeva un alleggerimento delle sanzioni contro l’Iran a patto che il regime degli ayatollah limitasse il programma nucleare a scopi unicamente civili e pacifici. Il presidente americano Trump, hanno specificato fonti dell’amministrazione USA, avrebbe stracciato l’accordo a causa probabilmente del fallimento nel convincere Teheran a trattare su alcuni aspetti della sua politica di difesa.
La decisione era già nell’aria, durante una telefonata avvenuta la scorsa settimana il segretario di Stato Mike Pompeo avrebbe confermato a un diplomatico europeo che le trattative finalizzate a salvare l’accordo non sarebbero più andate avanti. Le cancellerie europee hanno a lungo provato a convincere gli Stati Uniti a salvare l’accordo, in particolare quelle tedesche e francesi. A nulla sarebbero valsi gli sforzi del presidente francese Macron, che a Washington ha sfoggiato un atteggiamento di grande intesa con Trump, né quelli della cancelliera tedesca Merkel, ricevuta più freddamente dal presidente americano. Il ritiro degli USA non implica però la fine dell’accordo sul nucleare iraniano: Francia, Gran Bretagna e Germania hanno confermato che rimarranno parte dell’intesa a prescindere dagli Stati Uniti.
L’annuncio di Washington è in realtà una conferma di quanto assicurato dall’ex tycoon ancora prima di essere eletto e risponde al desiderio di Trump di demolire l’eredità di Obama. L’accordo sul nucleare, secondo l’amministrazione americana, non ha alcuno scopo perché non risponde all’obiettivo di frenare il programma iraniano di missili balistici e perché non aiuterebbe a prevenire la minaccia che Teheran sviluppi armi nucleari. Inoltre, secondo un’opinione sempre più condivisa anche in Europa, se da un lato Teheran sta materialmente rispettando i termini dell’accordo, dall’altro ne sta tradendo lo spirito a causa del ruolo svolto nelle guerre in Siria e in Yemen e a causa del sostegno continuo garantito a Hezbollah in Libano.
Secondo il capo della Casa Bianca, dunque, l’accordo non impedisce a Teheran di costruire armi nucleari. Tuttavia, il direttore generale Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Yukiya Amano ha assicurato che in Iran è in vigore il più robusto sistema di verifica esistente al mondo.
Il Ministro degli Esteri iraniano Zarif in un video in inglese diffuso su Facebook alcuni giorni fa aveva detto che se gli Usa avessero abbandonato l’accordo, l’Iran non lo avrebbe più rispettato. Il presidente iraniano Hassan Rohani, invece, ha annunciato che non rinnegherà l’intesa. Irritato da Trump, ha accusato gli Stati Uniti di aver preso una decisione «illegale, illegittima, che mina gli accordi internazionali». Rohani ha anche fatto sapere all’Agenzia atomica «di essere pronto a riprendere l’arricchimento dell’uranio come mai prima, eventualmente già nelle prossime settimane». Prima dell’annuncio di Trump, Rohani ha aveva chiarito che Teheran è decisa a resistere con fermezza a qualsiasi tentativo degli Stati Uniti di limitare l’ influenza iraniana in Medio Oriente. Sul punto di ripristinare le sanzioni, l’opinione degli iraniani è che non ci saranno scossoni per l’economia del Paese. “Siamo preparati a tutto. Se l’America denuncerà l’accordo, la nostra economia non sarà colpita”, ha detto in tv il direttore della banca centrale Valiollah Seif.
I leader europei hanno però avvertito Trump che il ritiro degli USA dal patto avrebbe mandato in frantumi anni di duro lavoro speso per strappar via l’arma nucleare dalle mani degli iraniani. Soprattutto, gli europei credono che Trump non abbia prestato abbastanza attenzione alle loro preoccupazioni.
L’uscita degli USA ha come diretta conseguenza un aumento delle tensioni in Siria dove la presenza degli iraniani si è risolta in un conflitto con il vicino Israele. Il primo ministro Israeliano ha infatti accusato l’Iran di disporre in Siria di “armi molto pericolose” dirette contro il territorio israeliano. L’ennesima dimostrazione del braccio di ferro che si consuma tra Iran e Israele in Siria è l’attacco aereo israeliano di martedì 8 maggio contro la base militare a sud di Damasco, dove, secondo alcuni esperti, c’era un deposito di missili iraniani.
Con questo annuncio Trump ha rafforzato l’alleanza con Arabia Saudita e Israele in chiave anti-sciita. Grazie agli Stati Uniti Tel Aviv e Riad sono unite nella lotta contro la presenza iraniana in Medio Oriente, che a loro giudizio pare un elemento ancora più detestabile rispetto all’ipotesi che Teheran si doti della bomba atomica. L’amicizia con Riad, che combatte gli Houthi in Yemen, è un punto fermo nella nuova linea di politica estera americana, basti pensare che il primo viaggio all’estero del nuovo segretario di Stato Pompeo è stato nel regno del giovane erede al trono Mohammad bin Salman.
Inoltre, con il naufragio dell’accordo sul nucleare iraniano, il presidente USA parte da una posizione di netto svantaggio nel negoziato con il leader nordcoreano Kim Jong un.
La rinuncia all’accordo avrebbe anche effetti negativi sui mercati, in particolare sul prezzo del petrolio di cui l’Iran è uno dei principali esportatori al mondo. I prezzi del greggio hanno oscillato per tutta la giornata di martedì 8 maggio quando gli investitori erano in attesa delle decisioni del presidente USA. Se Trump dovesse optare per l’azione più aggressiva, impedendo all’Iran di vendere il petrolio all’estero, il prezzo del petrolio aumenterebbe, visti anche i tagli alla produzione disposti dall’OPEC e dalla Russia per alzare il prezzo del greggio.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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