Kashmir, Hong Kong e il nazionalismo asiatico

Non si fermano le proteste pro democrazia ad Hong Kong. Centinaia di persone si sono riunite venerdì 9 agosto all’aeroporto dell’ex colonia britannica dove si terrà la prima di alcune proteste non autorizzate. Le proteste andranno avanti per tutto il fine della settimana. In settimana il Pakistan ha espulso l’ambasciatore indiano a Islamabad, ha detto che non invierà il suo nuovo ambasciatore per l’India a New Delhi e che interromperà i commerci con il Paese come risposta allo stralcio dell’Articolo 370 della Costituzione che prevedeva l’autonomia dello Stato del Kashmir. Cosa hanno in comune le proteste ad Hong Kong e la decisione del governo indiano:

All’ombra dell’Himalaya il governo nazional-induista di Delhi organizza un golpe contro la sua stessa Costituzione democratica , per cancellare l’autonomia dell’unico dei 29 stati a maggioranza musulmana dell’Unione indiana. Più soldati di quanti già ce ne fossero, coprifuoco, manifestazioni di protesta, nuove violenze, arresti. E presto altro terrorismo che allargherà il confronto al Pakistan che, dal canto suo, ha annunciato di aver deciso di espellere l’inviato indiano nel Paese e di richiamare l’ambasciatore pachistano a Nuova Delhi.

A Hong Kong, davanti al Mar Cinese Meridionale, migliaia di giovani, poi di lavoratori e cittadini comuni protestano da settimane contro lo strisciante e sempre più oppressivo potere di Pechino. L’Handover, l’accordo firmato nel 1997 con l’ex potenza coloniale inglese, garantiva 50 anni di autonomia amministrativa, prima che Hong Kong venisse definitivamente integrata dalla Cina continentale. Ma polizia ed esercito cinesi presidiano già l’isola e la sua giustizia repressiva è più forte delle leggi dell’autonomia. A chi chiede più democrazia, Pechino minaccia una nuova Tienanmen.

Il collante è il nazionalismo

Da Srinagar alla baia di Hong Kong, dall’India Nord-Occidentale alla Cina Sud-Orientale, ci sono 4.039 chilometri e 17 ore di volo. Cosa hanno in comune i due avvenimenti politici? Il nazionalismo. O meglio, il nazionalismo asiatico. Meglio ancora: il nazionalismo dei due più grandi paesi del continente, che entro questo secolo saranno superpotenze economiche, politiche e fatalmente militari. Cina e India stanno giù marciando su quella strada, sebbene la prima più rapidamente della seconda.Avendo imparato poco dalle potenze che le hanno precedute, nelle loro sfere d’influenza India e Cina non sono inclusive. Al contrario tendono a non sopportare le loro minoranze interne e a preoccupare i paesi a ridosso delle loro frontiere esterne.

L’India è sempre stato un paese molto nazionalista: furono Indira Gandhi e i socialisti del Congress ad avviare il programma nucleare militare. Ma ora che al potere è saldamente il Bjp, il partito nazional-religioso degli hindu, emanazione dell’Rss, movimento ultra-religioso e para-militare, è peggio. Modificando la Costituzione senza seguire le procedure necessarie, il governo di Narendra Modi ha conquistato manu militaril’unico stato dei 29 dell’Unione indiana che fosse a maggioranza musulmana (il 60%. In tutta l’India i musulmani sono un po’ meno di 200 milioni ma nei giganteschi numeri del paese, solo il 14% della popolazione). Nella propaganda nazionalista del Bjp e dell’Rss, i musulmani non sono indiani ma nemici dell’India, inaccettabili per il crescente nazionalismo zafferano indiano, il loro colore.

Il caso del neo-imperialismo cinese

Anche in Cina il grande balzo neo-imperialista cinese non prevede, dentro le sue frontiere, la presenza degli alieni uiguri dello Xinjiang, nell’estremo Nord-Ovest del paese. A centinaia di migliaia sono stati rinchiusi nei campi di rieducazione. E ancor meno ammettono l’esistenza di altre Cine ai confini dell’Unica Cina. Fuori dalla Gran Bretagna, al mondo esistono almeno quattro paesi anglo-sassoni: Canada, Usa, Australia e Nuova Zelanda. Per i cinesi è impensabile, convinti come sono di essere parte di un impero nato impero dal suo primo vagito come organizzazione statale (nella loro narrativa non esistono miti fondanti come Romolo e Remo). Taiwan è sempre sotto minaccia e l’annessione di Hong Kong è scontata.

Deng Xiaoping aveva concesso mezzo secolo di autonomia – «Una Cina, due sistemi» – principalmente per garantire il sistema capitalistico dell’ex colonia inglese. Ma nel frattempo anche la Cina continentale è diventata una realtà a due sistemi: politicamente leninista ma economicamente capitalista, sebbene sotto il controllo dello stato. Quindi perché aspettare mezzo secolo?Ai tempi dell’Handover qualcuno aveva sperato che Hong Kong diventasse il laboratorio politico della Cina: gradualmente, i geni della sua sperimentazione democratica potevano essere inoculati nel grande mondo cinese. Poi è arrivato Xi Jinping, un iper-nazionalista come Narendra Modi in India.

Forse a Central, il cuore di Hong Kong, non ci sarà una Tienanmen: il sistema repressivo di Pechino è in grado di rapire e far sparire tutti gli organizzatori delle manifestazioni senza mettere in pericolo il precario quadro geopolitico con Stati Uniti e Giappone. Sistemati i musulmani del Kashmir e del resto del paese, come innocui cittadini di seconda classe, l’India di Narendra Modi si aprirà sempre di più al mondo e al business. Ma anche in Asia il XXI secolo non sarà molto diverso dal XX, per buon parte intossicato dai miasmi del nazionalismo.

 

Pubblicato su Il Sole 24 orre