La Cina di Mao ha settant'anni

Primo ottobre 1949: a Pechino Mao Zedong annuncia la nascita della Repubblica popolare cinese. È la conclusione della feroce guerra civile tra nazionalisti e comunisti scoppiata nel 1927 e proseguita poi a fasi alterne per circa vent’anni, con la breve ma significativa parentesi della lotta comune contro l’invasore giapponese tra il 1937 e il 1945.

Sconfitti dai comunisti, i nazionalisti trovano riparo nell’isola di Taiwan e stabiliscono uno Stato autoritario guidato da Chiang Kai-Shek e sostenuto militarmente dagli Stati Uniti. Sulla terraferma, invece, Mao dà il via all’ambizioso esperimento di una repubblica socialista basata sulla redistribuzione delle proprietà terriere e sul rigido controllo delle attività economiche da parte dello Stato. I risultati di questo approccio saranno abbastanza deludenti, ma la leadership di Pechino insisterà sulla sua ferma applicazione per decenni, ricorrendo spesso a violente mobilitazioni ideologiche per nascondere i propri fallimenti. La svolta avverrà solo dopo la morte di Mao nel 1976, quando la nuova leadership guidata da Deng Xiaoping aprirà le porte del Paese agli investimenti esteri e implementerà una parziale liberalizzazione di diversi settori economici. Oggi, grazie alle riforme lanciate da Deng, la Repubblica fondata da Mao è la seconda economia più grande del mondo e ha acquisito un ruolo chiave negli equilibri geopolitici internazionali. Ma il Paese non ha fatto alcun passo avanti verso la democrazia (a differenza della “ribelle” Taiwan) e i suoi rapporti con l’Occidente, specialmente con gli Stati Uniti, restano problematici e turbolenti.

Pubblicato su Il Caffe Geopolitico