Eletto alla guida dell’Ecuador nel 2017, Lenín Moreno sembrava dovesse dare continuità al progetto socialista avviato con determinazione da Rafael Correa nel 2007. Proprio la candidatura di Moreno è stata fortemente sostenuta dal presidente uscente in seno ad Alianza País ovvero la compagine politica di appartenenza di entrambi. Continuità di leadership si pensava quindi nel 2017 per sopperire all’inelegibilità costituzionale dello stesso Correa per un terzo mandato consecutivo. Ma la realtà presentata dal nuovo governo è apparsa sin da subito radicalmente diversa dal dimostrarsi continuativa. Il primo anno di governo di Moreno non è stato altro che un irreversibile processo di epurazione dei correisti da Alianza Pais e una contestuale svolta neoliberale della stessa compagine politica. Resta pertanto il contenitore ad accomunare Moreno e Correa, ma cambiano notevolmente contenuti e interpreti. Moreno infatti ha sin da subito chiamato al suo fianco figure professionale fortemente legate al settore privato e che con Correa avevano ridimensionare fortemente le proprie ambizioni di leadership economica nel Paese. Su tutte le nomine ministeriali non può non saltare all’occhio quella dell’assegnazione del Ministero dell’Economia e della Finanza a Richard Martínez Alvarado ovvero colui che è stato Presidente del Comité Empresarial Ecuatoriano (2015-2018), Presidente della Federación Nacional de Cámaras de Industrias del Ecuador (2015) e Presidente Esecutivo della Cámara de Industrias y Producción (2014-2018). C’è da dire inoltre che la successione tra Correa e Moreno è avvenuta in un momento di stallo per l’economia ecuadoriana e che quindi le strategie neoliberali del neo presidente sono state favorite nella loro attuazione proprio dalla necessità di dinamizzare la stessa economia. Obiettivo quindi è stato quello di attrarre maggiori investimenti esteri nel paese e ciò è stato possibile riabbracciando le politiche e la subordinazione creditizia nei confronti degli istituti finanziari internazionali. Primo fra tutti la Banca Mondiale che ha premiato l’apertura agli investitori esteri da parte del paese andino mediante l’ampliamento del credito a favore dello stesso paese (la BM era stata estromessa dall’interazione con Quito nel 2007 da Correa). A seguito di ciò vi è stato il riavvicinamento della Banca Internazionale per lo Sviluppo e ultimo in termini temporali il Fondo Monetario Internazionale invitato giorni fa dall’Ecuador a una sorta di consulenza finanziaria. Quito ha infatti interpellato il FMI per una consulenza in merito al riposizionamento del paese nello scenario finanziario internazionale in modo da renderlo più attrattivo per gli inv3estitori esteri. Strategie che non possono che portare all’ordine del giorno una ridefinizione del ruolo del settore pubblico all’interno dell’economia del paese con una prospettiva di un forte ridimensionamento dell’attivismo dello Stato. Un cambiamento per certi versi preannunciato lo scorso 4 febbraio con il Referendum Consultativo voluto dallo stesso Moreno avente quale scopo l’avanzamento di una riforma costituzionale con al centro un impulso alla ridefinizione delle concessioni in favore del settore privato. Il Referendum per altro ha sancito la vittoria dell’impianto politico di nuova generazione di Alianza Pais e con un’affluenza di oltre il 70%. Il “si” riformista di Moreno ha vinto e pertanto si andrà a modificare quello che è stato il vero simbolo della Rivoluzione Cittadina di Rafal Correa: la Costituzione. Correa lungo il suo intero periodo di presidenza non ha fatto altro che lavorare estenuamente alla costruzione di un welfare sostenibile per il suo paese.

Un progetto politico dal titolo “Rivoluzione Cittadina” e che ha sin da subito voluto rivoluzionare la Carta Costituzionale del Paese. Ecco quindi come ha una forte valore simbolico per Moreno andare a riformare alcuni contenuti della stessa. Una sorta di cambio di traiettoria politica per Alianza Pais che estromette anche per volontà popolare (ripetiamo la consulta referendaria ha dato ragione a Moreno con un’affluenza di oltre il 70% degli aventi diritto al voto) Correa oggi costretto a ricollocarsi a livello politico e magari con una nuova formazione politica che nasce da una scissione di fatto interna ad Alianza Pais. La riorganizzazione politica è urgente anche in vista delle elezioni municipali del 2019 e soprattutto in prospettiva delle presidenziali del 2021 quando Correa con ogni probabilità tornerà ad ambire legittimamente alla leadership nel paese. Ma l’ex presidente dell’Ecuador non può concentrarsi sul rilancio politico del progetto socialista nel paese perché fortemente distratto dal fiorire di guai legali. Sembrerebbe per certi versi il riproporsi di quanto vissuto da Lula in Brasile o da Cristina Kirchner in Argentina ovvero l’emergere di problemi legali che per consistenza reale appaiono più volti ad ostacolare la leadership politica degli stessi protagonisti. Congetture ovviamente che però non possono essere ignorate e non costantemente monitorate. Per Correa nello specifico, dalla fine della sua presidenza ad oggi, si sono venuti a creare ben tre incriminazioni: Caso Petrochina per la vendita anticipata di petrolio nel 2016 (accusa mossa il 5 febbraio 2018) manipolazione del debito pubblico tra il 2012 e il 2017 (accusa avanzata il 9 aprile 2018); Caso Balda ossia accusa per il tentato sequestro in terra colombiana dell’oppositore politico ecuadoriano Fernando Balda (accusa avanzata lo scorso 3 luglio 2018). Ovviamente Correa si difende come estraneo ai fatti e allo stato attuale resta in Belgio dove risiede dalla fine della sua presidenza. Per il caso Balda è stato richiesto anche il fermo preventivo dell’ex presidente che tuttavia non sembra propenso ad assecondare le richieste del tribunale ecuadoriano. Si vedrà cosa succederà in futuro, ma resta il fatto che tali processi non fanno altro che determinare quella che all’inizio abbiamo definito epurazione interna al partito, dato che coinvolgono anche i collaboratori dello stesso Correa, e mette in bilico ogni certezza sull’ascesa dello stesso ex mandatario alle elezioni presidenziali del 2021.

Ultimo nodo che sembra resistere quale legame tra passato e presente di Alianza Pais sembra essere il caso Assange ovvero l’asilo politico concesso da Correa nel 2012 al giornalista australiano capo redattore di WikiLeaks. Dal 2012 Assange è confinato nell’Ambasciata Ecuadoriana a Londra e da qui continua, con tutti i limiti del caso, la propria attività. Una condizione poco gradita in primis agli Stati Uniti e che tuttavia vede Moreno a garanzia di una continuità di trattamento nei confronti dello “scomodo ospite”. Ma c’è da dire che a fronte del cambio ideologico e politico avviato dal governo ecuadoriano dal 2017 a oggi, non si può escludere che la condizione di Assange non possa cambiare nei prossimi anni o addirittura nei prossimi mesi. La sensazione è che il governo ecuadoriano stia solo temporeggiando per studiare il modo migliore per liberarsi di questo ostacolo diplomatico e riabilitarsi in modo definitivo agli occhi del polo Atlantista (USA+Europa). Tra l’altro proprio il forte desiderio di spostare il proprio asse internazionale verso la compagine neoliberale del globo è leggibile dal metaforico “voltare le spalle” che Quito ha inteso fare nei confronti dell’Unasur. Moreno ha infatti proposto all’organismo regionale di devolvere l’edificio oggi occupato dalla Segreteria Generale dello stesso organismo e a pochi chilometri dalla capitale, allo Stato ecuadoriano per permettergli di ridestinarlo come sede universitaria. La proposta è stata avanzata con il provocatoria giustificazione di scarso utilizzo dello stesso edificio e attuale fase di stallo dell’organismo internazionale.

Come dire: i tempi della Patria Grande sembrano ormai lontani e in molti paesi latinoamericani (Brasile, Argentina, Ecuador) si corre a rinnegare il passato in attesa della prossima rivoluzione.