La parabola involutiva del Gran Old Party, dalle lotte contro lo schiavismo di Lincoln al razzismo di ritorno e alla faziosità trumpiana
Nel giorno più brutto della democrazia americana, alcuni repubblicani estremisti, sostenitori di Donald Trump, si aggiravano per i corridoi del Campidoglio con una bandiera confederata, un simbolo segregazionista ancora difficile da archiviare. Poche ore prima, nella conservatrice Georgia era stato eletto il democratico Raphael Warnock: solo l’undicesimo senatore nero nei 233 anni di esistenza della camera alta americana e il primo nominato negli stati del Sud, tradizionalmente repubblicani e ancora impregnati della cultura segregazionista.
Il partito che 51 uomini e tre donne fondarono nel maggio 1854 a Ripon, Wisconsin, era molto diverso da quello che conosciamo oggi. Frutto di una coalizione di movimenti progressisti, era stato creato per lottare contro lo schiavismo. Tra i fondatori c’era anche l’avvocato e deputato dell’Illinois Abraham Lincoln. «Se il Partito democratico era diventato il partito della schiavitù, il Partito repubblicano sarebbe stato il partito delle riforme», scrive Jill Lepore in “Queste verità” (Rizzoli 2020), un testo fondamentale sulla storia d’America.
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TRUMP E IL LUNGO INVERNO AMERICANO
In una delle prime riunioni del nuovo Partito repubblicano Lincoln tenne il discorso “The Negro is a Man” contro la schiavitù: «Quando l’uomo bianco governa se stesso, questo è autogoverno. Ma quando governa se stesso e governa anche un altro uomo questo è più di un autogoverno. Questo è dispotismo».
In questa descrizione è difficile riconoscere il partito di donne e uomini bianchi che hanno preso d’assalto la collina del Campidoglio: se riguardate le immagini di quel pomeriggio troverete pochissimi neri, a eccezione degli agenti sopraffatti dagli assalitori; il partito che nei due anni di campagna elettorale e nei quattro di presidenza, Donald Trump ha trasformato nella sua macchina da guerra, imbrigliandolo e trasformandone radicalmente i connotati politici.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore. Continua a leggere qui
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